mercoledì 12 luglio 2017

Pugilatori o Gladiatori?

Nuove scoperte sulle Statue di Mont'e Prama
di Alessandro Atzeni

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La necropoli di Mont'e Prama, a Cabras (OR), nel Sinis della Sardegna, è ormai conosciuta per le incredibili statue di origine nuragica, scoperte negli anni ’70 del secolo scorso. A lungo si è dibattuto sull’identità dei personaggi di queste statue. Gli ultimi studi antropologici fatti, uniti alla pratica dell’archeologia sperimentale, forse possono aiutare in questo processo di identificazione. Per
decenni gli archeologi si sono chiesti se gli inumati della necropoli siano gli stessi individui raffigurati nelle statue. I recenti studi eseguiti sui resti degli uomini seppelliti nelle tombe poste sotto le statue sembrerebbero confermare quest’idea. Gli antropologi Ornella Fonzo ed Elsa Pacciani (Analisi antropologica dei resti umani dalla necropoli di Monti 'e Prama, 2012) sostengono che la necropoli sia composta quasi esclusivamente da individui maschili giovani, con un’anomala assenza di bambini, donne (forse un solo individuo) e vecchi. Altro dato sconcertante sono i risultati degli studi paleopatologici, legati alle pratiche svolte in vita da questi individui. Le ossa degli inumati sembrerebbero raccontare una lunga storia di allenamenti incessanti con la spada e con l’arco, rendendo quindi il collegamento con le statue assai evidente (principalmente arcieri e pugilatori, secondariamente spadaccini). Altro elemento anomalo è la causa di morte degli individui, infatti è sconosciuto il motivo per cui i giovani guerrieri siano deceduti tutti ad un età più o meno simile. È su questo discorso che si innesta la ricerca di archeologia sperimentale e ricostruzione svolta dal sottoscritto sotto l'egida dell'associazione Memoriae Milites di Cagliari.
Dopo una pratica di quasi dieci anni nel campo della rievocazione storica, della ricostruzione e dell’archeologia sperimentale, in cui ho ricostruito diversi armamenti di periodo nuragico, ho deciso di ricostruire uno scudo e un guantone da “pugilatore”, la figura più enigmatica tra quelle mostrata tra le statue.
 
 Questa ricostruzione non è la prima in questo senso, poiché già lo scultore oristanese Carmine Piras propose un esempio di questo tipo in scala 1:1 qualche anno fa. A differenza del Piras, tuttavia, la mia esperienza come praticante di arti marziali (escrima filippina, scherma storica, pugilato) mi ha dato la possibilità di sperimentare personalmente l’efficacia di quanto ricostruito. Per ultimo, l’esperienza acquisita in campo antropologico durante la redazione della mia tesi di laurea “dal combattimento alla lesione: ricerca di indicatori scheletrici in resti ossei di età nuragica” mi ha dato i mezzi scientifici per capire i dati antropologici degli inumati di Monte Prama. La cosa più anomala della necropoli è la differenza che esiste tra le statue e gli inumati. Se i pugilatori sono la tipologia di statua più frequente rispetto agli spadaccini, perché gli inumati presentano in percentuali più frequenti delle patologie da spadaccini? La figura del pugilatore inoltre rappresenta il vero dilemma di tutti gli studiosi: chi erano queste figure? Quale era il loro scopo? Come combattevano, e con cosa erano armati? Tutte le proposte presentate finora sono risultate insoddisfacenti: cuoiai, assaltatori di nuraghi fortezze, corridori contro i carri, fanti armati di maglio e via elencando. Tra tutte, l’ipotesi che trovo più sensata è quella dell’archeologo Carlo Tronchetti: i pugilatori sarebbero dei lottatori impegnati in giochi sacri in onore delle divinità. Simili figure di pugili sono citate anche nell’Odissea ed erano conosciute presso gli etruschi. Concorde con le ipotesi del Tronchetti, mi sono dedicato alla ricostruzione del guantone da pugilatore e del suo scudo. Tuttavia una volta completato l’armamento, mi sono reso conto che nella pratica il pugilatore aveva ben poco senso contro un altro pugilatore armato di scudo, infatti è quasi impossibile ferirsi con simili protezioni.

 I dettagli ottenuti dalle statue di Mont'e Prama, oltretutto, evidenziavano che i guantoni non erano dotati di una serie di borchie circolari poste a mezzaluna, come avevano proposto il Piras o la disegnatrice Angela Demontis (Il Popolo di Bronzo, 2005), ma di un unico segmento lineare sul bordo inferiore del guanto, dotato di una singola borchia romboidale. Durante la ricostruzione mi sono così accorto che il dettaglio nel guantone non si tratterebbe di una borchia, ma di un moncone di pugnale ad elsa gammata: arma particolarmente famosa e presente al petto di quasi tutte le statuette nuragiche maschili.


 Il guantone quindi non sarebbe un’imbottitura per menare pugni, ma una protezione per la mano, che permetterebbe di impugnare il letale pugnale ad elsa gammata.
 

 Le ultime statue rinvenute (2014) infatti sembrerebbero prive di tali “borchie” osservabili invece nel bronzetto da Baunei (uno dei pochi ritrovati assieme a quello di San Luca di Ozieri) e nei resti dei guantoni delle statue.
 



 I guerrieri armati di scudo rettangolare da Mont'e Prama così assumerebbero un altro ruolo: non pugilatori, ma forse i primi veri e propri “gladiatori ante litteram”, impegnati in mortali combattimenti sacri, evenienza che in seguito ne avrebbe causato il decesso in giovane età. Sembrerebbe confermare questa idea anche l’evidenza di segni di taglio presenti su numerose statue, volutamente scolpiti e riempiti di ocra rossa, a ricordare il colore del sangue.
 
 Tali traumi da taglio infatti sarebbero stati impossibili da ottenere nella realtà con dei guantoni di pugilato armati, anche se dotati di borchie come i cesti, i guanti da pugilato romano, famosi poi secoli dopo. I pugilatori da Mont'e Prama assumono così una nuova identità, un tassello dopo l’altro, mostrandosi come gli antesignani dei ben più famosi gladiatori della Roma antica, secoli prima dei fasti imperiali.
 
Ringrazio l'associazione Memoriae Milites per l'aiuto datomi in questa ricerca, ed il G.R.S. Gruppo Ricerche Sardegna per aver fornito alcune delle repliche di pugnali in bronzo utili alla sperimentazione.

16 commenti:

  1. Trovo interessantissimo il lavoro di Alessandro, altra dimostrazione per i nostri archeologi di come anche chi non sia un tuo collega, ma sia mosso dall'interesse per qualcosa che gli sta a cuore, se agisce nel rispetto della tua disciplina, senza paralizzarsi nello sterile ossequio verso il tuo ruolo, potrebbe rappresentarti qualcosa di utile.
    Con la speranza di aiutare Alessandro ad affermare meglio le sue ragioni gli chiederei di spiegarci meglio il passaggio (mio il maiuscolo) “Le ultime statue rinvenute (2014) INFATTI sembrerebbero prive di tali ‘borchie’ … ” (dove “tali ‘borchie’” sarebbero per ciascun guanto la singola borchia romboidale al centro del segmento lineare rilevato “sul bordo inferiore del guanto”, ossia, per capirci, sul margine del palmo dal lato del mignolo): perché dici “infatti”? Forse nel procedere a una sintesi dal libro hai sacrificato una parte cui quell’infatti si riferiva, o potrei essere io che non l’ho imbroccata bene. Comunque, libro alla mano, se ho capito e visto bene ti interpreterei così: i “pugilatori” rinvenuti nel 2014, quelli con lo scudo più grande e avvolto (ricondotti al “pugilatore” di Vulci), non avrebbero nessuna borchia sul guanto perché non avrebbero il pugnale in mano (proprio come il “pugilatore” di Vulci; di passaggio mi chiedo se questi guanti siano davvero giudicabili per come sono conservate le loro statue). Quindi, Alessandro, intendi sostenere (guardando alla pagina 158 del tuo libro) che i “pugilatori” del 2014 (sacerdoti?) sarebbero, sul piano della dotazione da combattimento (sacro-rituale), equivalenti dei mirmilloni (dotati di ampio scudo) che nei giochi gladiatori si contrapponevano ai traci (armati di scudo più piccolo, come sembrerebbe quello ricostruito sul capo degli altri nostri gherreris)?
    L’ipotesi di Alessandro comporta ammettere che tutte le lame dei pugnaletti a elsa gammata tenute in mano da questi creduti pugilatori siano andate perdute, vuoi per consunzione o vuoi per danneggiamenti, magari volontari. Ovviamente è possibile, certo trovarne prima o poi una integra sarebbe un bel colpo; la teoria, con gli indizi a conforto, è per me comunque degnissima.
    Nel volume di Alessandro c’è però anche qualcos’altro a proposito di armi venute meno e giganti di Monte Prama, qualcosa che ha a che vedere con un problema che abbiamo provato ad affrontare anche qui.
    Con riferimento a bronzetti aventi le mani forate e a mani dei giganti pure con fori (pagina 10 di Gherreris), Alessandro spiega pacificamente come sia alcuni bronzetti che (diffusamente) le statue di Monte Prama portassero armi in bronzo realizzate separatamente e applicate quindi alle figure; consolidate, nel caso di Monte Prama, con il piombo le cui tracce rinvenute ci hanno, appunto, già interrogato.

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    1. Anzitutto Grazie Francesco, per i modi con cui mi hai posto la domanda, a cui rispondo volentieri, ma sopratutto grazie per averla fatta. Non riesco a spiegarmi il silenzio incredibile attorno a questa piccola scoperta. Mi sarei aspettato maggiore scalpore, ma forse è anche colpa mia, che propongo le mie ipotesi sempre in modo molto cauto.

      Sottoscrivo con quello che hai inteso Francesco, i pugilatori del 2014 non mostrano segni di alcuna "borchia" nel guantone (anche il restauro preliminare non ha evidenziato nulla) perché probabilmente, come quello di Vulci, non ne avevano. Nell'articolo ho dovuto sacrificare molto rispetto a quanto ho scritto nel libro (che è uscito pochi mesi dopo) ma il senso generico è: questi "pugilatori" tipo "Vulci" o combattevano contro gli altri pugilatori in un duello simile a quello del gladiatore Murmillo contro il Trace (più agile e con scudo più piccolo, come appunto i pugilatori "tradizionali") oppure combattevano tra loro. Un combattimento più "soft" per questa tipologia di pugilatori non è comunque da escludere, poiché possiedono caratteri nettamente differenti che li distinguono dagli altri pugilatori: le scarpe, la presunta copertura per il torso (una tunica forse) il cappello da "Aruspice" e lo scudo molto più grande e protettivo. Erano forse dei sacerdoti che avevano il ruolo di svolgere qualche rito particolare? Il Lilliu la pensava così, forse ci aveva visto giusto.

      Tra l'altro, è curioso che tu abbia usato il termine "imbroccato", Francesco, in quanto è un termine derivato dalla scherma medioevale (l'imbroccata è un colpo di punta).
      Per quanto riguarda il pugnaletto delle statue e dei bronzetti: recentemente l'autrice Angela Demontis ha scritto di aver fatto una scoperta straordinaria per quanto concerne le statue. Mi chiedo se abbia mai letto il mio libro (abbiamo scritto per la stessa casa editrice), almeno i miei articoli, e se non abbia trovato dei frammenti di pugnaletto. Ricordiamo che un pugnaletto gammato, scolpito, è stato effettivamente trovato a Mont'e Prama.

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  2. Questa spiegazione che dà un ruolo al piombo sulle statue porta a diverse considerazioni:
    se quel piombo non serviva al fissaggio di soluzioni per la statica delle statue, resta allora intatto il mistero su come queste stessero in piedi, ma ancor più ci si convince che, alla faccia della nostra perdurante incapacità di spiegacelo, siano state in piedi di sicuro 1;
    armi votive in bronzo applicate sulle statue avranno rappresentato un motivo ulteriore per provocare il loro sacrilego saccheggio, a prezzo della stessa distruzione delle statue;
    in ultimo ci si può chiedere (ma solo oziosamente, temo) perché gli scultori di Monte Prama davanti alla difficoltà tecnica di realizzare in pietra la lama dei pugnali non abbiano pensato di aggirarla con la piombatura, anche qui, di una lama in bronzo.
    Ad ogni modo trovo molto bella tale ulteriore centralità del pugnaletto a elsa gammata: questo pugnaletto ci ha già detto, più di altri segni, come almeno una certa scrittura rinvenuta in Sardegna non possa che dirsi nuragica; e ora starebbe anche a dirci, casomai ci fossero ancora dei dubbi al riguardo, che Monte Prama non può che essere altrettanto nuragico.
    Alle pagine 45 e 46, mi sembra giusto rilevare anche questo, Alessandro motiva il suo dissenso totale dall’interpretazione del cardiophilax come paramento sacro tipo efod ebraico. Personalmente trovo Alessandro convincente anche su questo punto, come già trovavo deboli le argomentazioni di Gigi (ne scrivemmo sul blog, non ricordo quale) in opposizione all’interpretazione quali piastre di protezione (argomentazioni fondate sul loro essere portate “lasse” in diverse rappresentazioni; dicevo a Gigi che per esempio le stesse armi non sono rappresentate nei guerrieri in guardie da combattimento). Ovviamente trovo che questo dettaglio non infici sostanzialmente in nulla le tesi complessive di Gigi.
    _______________
    1) Con buona pace anche del nostro amico architetto, dico il senior, Franco Laner, nonostante le sue titolate osservazioni sulla statica delle basi e quant'altro di problematico effettivamente risulti. Lo saluto da qui e lo invito, al di là di tutte le sue ragioni, a considerare ancora una volta che, semplicemente, tante statue così rifinite, ora anche immaginabili con armi bronzee applicate, non le avranno preparate tutte a puntino per scoprire solo dopo che non stavano ritte intere (vabbe' coglioni ...). Forse la sua scienza potrebbe ancora aiutarci a indagare non i motivi per cui queste statue, come le vediamo, non potevano stare in piedi, ma le condizioni applicate le quali dovevano invece starci.

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  3. Per quanto concerne l'ipotesi che le statue dei guerrieri armati di scudo (e forse anche alcuni arcieri) fossero attrezzati con armi in bronzo, questa non è una cosa così anomala come potremmo pensare. I bronzi di Riace, e moltissime statue in bronzo e in pietra usano lo stesso stratagemma per semplificare il processo di lavorazione. Tra l'altro è un dettaglio che mostrano anche alcuni bronzetti, come quello del museo Pigorini, con la mano protetta dal guanto d'arme caratterizzata dall'avere un foro passante.
    Perché non hanno fatto lo stesso con il pugnaletto dei pugilatori?
    Io penso che non fosse necessario.
    Le spade che i guerrieri armati di scudo dovevano presumibilmente portare erano sicuramente molto difficili da realizzare in pietra, specialmente se si fosse trattato di spade votive (quelle cioè portate da quasi tutti i bronzetti nuragici di "guerrieri").
    Il pugnaletto invece doveva essere relativamente corto, non oltre la decina di cm. Certo, è un dettaglio sicuramente molto fragile, e proprio per questo forse non si è conservato, ma sicuramente era più semplice da realizzare rispetto alla spada (tra l'altro, una o più spade sono presenti in frammenti: si tratta di una spada inserita in un gruppo faretra e di alcuni manici di spade simili a quelle votive).

    Per quanto riguarda l'ipotesi dell'Efod, non me ne voglia chi ha proposto l'ipotesi, ma personalmente mi occupo di ricostruzione di armi e armature, archeologia sperimentale e scherma storica, e per me come elemento di armatura ha una funzionalità effettiva.

    Riguardo l'ipotesi del Laner, ho già provveduto a rispondere al quesito, assieme ai colleghi del G.R.S. Gruppo Ricerche Sardegna, da pagina 128 del nostro libro "Gigantes de Pedras". Le statue di Mont'e Prama, nel lato posteriore, sono tutte piatte come tavole. Nei musei sovente sono esposte con la schiena verso il muro (forse non a caso!), e questo dettaglio è difficile da notare. Nel libro abbiamo ipotizzato che questo fosse il famigerato punto di appoggio tanto ricercato dagli studiosi, specialmente secondo chi le statue siano "esperimenti", "abbozzi" e via dicendo. Io e i miei colleghi autori pensiamo che le statue fossero erette con la schiena adagiata ad un qualche tipo di supporto (un muro, un sostegno ligneo, ecc) forse appartenente al famigerato ed introvabile tempio, di cui abbiamo rilevato alcuni elementi architettonici,
    quali un architrave, due colonne ed alcuni capitelli squadrati "a forma di nuraghe" di cui tanto si è sentito parlare e per i quali rimando alla lettura del già citato libro: Gigantes de Pedras (Condaghes 2016).

    Un cordiale saluto.

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    1. Mi è capitato di scrivere e di ipotizzare l'ipotesi della collocazione contro-parete (o altro) per via della planarità del busto qualche anno fa. Ma non in modo definitivo. Non ho mai sciolto la mia riserva per due ragioni di fondo: 1.la planarità può essere da ricondurre ad un valore espressivo analogo a quello dei bronzi 'planari' che Lilliu ha definito dallo stile ornamentale-planare -2. Alcune statue presentano non solo segni di finitura anche nel retro, ma anche la faretra scolpita, quindi questo aspetto che può essere più proprio dei pugilatori/gladiatori finisce per venir meno per altre tipologie...o alcune sculture.

      Non ho letto però il libro nel quale ne parlate e quindi non so se queste riserve, soprattutto la seconda, siano state sciolte.

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  4. Per quanto scritto parrebbe che i combattimenti fossero simili a quelli dei gladiatori. Io penso che i duelli che probabilmente si svolgevano, erano sottesi alla prova di virilità del sovrano/sacerdote in carica. In sostanza il regnante era tale in virtù delle sue doti fisiche, che da un lato lo elevavano al rango di massimo esponente di quella popolazione, dall'altro lo esponevano alle sfide da parte di pretendenti. Sfide che finivano sempre con un solo vincitore “vivo”. In questo è illuminante il libro “Il ramo d'oro – studio sulla magia e sulla religione” di James G. Frazer, Newton editore. L'antropologo espone, in una panoramica mondiale, riti e credenze di svariate società fin dalla notte dei tempi, per arrivare a riminiscenze arrivate, relitte, fino ad epoche relativamente recenti.
    I regnanti non erano solo tali, ma erano re/sacerdoti nonché maghi, e il popolo da loro si aspettava azioni capaci di guidare gli eventi naturali a proprio favore.
    In questo contesto il sovrano detentore del potere religiose e di quello temporale doveva essere il più vigoroso di tutti per poter soddisfare quelle esigenze (almeno in apparenza), e per dimostrare di essere all'altezza del suo compito doveva accettare la sfida di pretendenti a quella carica.
    In questo contesto io vedrei gli inumati di Monte Prama: sovrani/sacerdoti figli della divinità taurina, che per reggere questo status di cose si sottoponevano ad un rigido protocollo e un pesante allenamento fisico in vista di una sicura sfida da parte di un giovane “toro”.
    Per quanto riguarda la tua scoperta, Alessandro, penso sia giusta e mette sotto una nuova luce la funzione del pugnale gammato appeso al petto di personaggi raffigurati nei bronzetti; pugnale che non è indossato solo quale mero simbolo di regalità, ma è lo strumento con quale quel regnante ha ottenuto il suo status.

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  5. Buongiorno Sandro (mi permetto di darti del tu). Non so se tu abbia letto il mio libro, ma hai praticamente delineato le conclusioni.
    Nel libro ho analizzato tutte le figure appartenenti alla bronzistica ed alla statuaria in pietra, dividendoli per categorie di armi e vestiario (armature o paramenti sacri, ecc).
    è emerso che quasi la totalità dei personaggi raffigurati siano in realtà capi o figure di alto rango.
    Sotto quest'ottica, è esattamente come scrivi (e come ho pubblicato) ovvero che il capo (primus inter pares?) doveva superare delle prove, forse mortali, per poter diventare leader della comunità. Questo ci permettono di dirlo le statue (e gli uomini sepolti al loro fianco), specialmente i "pugilatori" dopo questa piccola scoperta del pugnale gammato, perché con l'analisi della sola bronzistica non sarebbe stato possibile.
    A questo punto ti raccomando caldamente la lettura del libro, specialmente della seconda metà.
    I capitoli sui capi e sui "capi in armatura", nonché sui bastoni del comando e sui mantelli dovranno essere particolarmente illuminanti.
    Un caro saluto.

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  6. Ammetto di non aver letto Frazer, ma stimo, Sandro e Alessandro, le vostre intelligenze. Lo stesso mi permetto di dire che questa idea della selezione cruenta del capo mi sembra alquanto anacronistica rispetto almeno al grado di civiltà con cui crediamo di avere a che fare per l’età del bronzo in Sardegna.
    Si possono commettere due tipi speculari di errori, guardando al lontano passato: intendere che i popoli governassero la complessità come noi oggi (mutatis mutandis) e, d’altra parte, intendere che fossero ben più primitivi di quanto il loro cammino di civiltà potrebbe invece suggerire. Io rischierò di cadere verso il primo tipo di errore, perché giudicherei che in un sistema sociale nel quale al capo spetti già di sovrintendere all’amministrazione di flotte, estrazioni di materie prime, regolazione di rapporti civili, commerci, in qualche misura anche accordi “internazionali”, i sudditi per primi non si affiderebbero mai alla sua selezione attraverso combattimenti cruenti. Al massimo conserverebbero il ricordo, o già un ricordo mitico, di un simile sistema di selezione e come tale lo rappresenterebbero, più o meno cruento (davvero cruento nel nostro caso). Vedrei quindi i nostri gherreris come un possibile ibrido tra atleti osannati, eroi semi-divinizzati e quindi in qualche modo connessi al sacro, rappresentanti (giusto entro l’arena) del potere civile-militare-religioso, ma non certo classe dirigente che scalava i vertici del potere in età ginnasiale (destinata a durare poco oltre) strutturandosi a tempo pieno (dall’alimentazione agli allenamenti) per il combattimento.
    Con licenza, vi chiedo: non è un po’ come se tra tremila anni qualcuno interpretasse che i vincitori del super bowl si aggiudicavano il governo degli Stati Uniti?

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  7. Ciao Francesco. Se c'è una cosa che l'antropologia culturale mi ha insegnato, è che quando si studiano le culture del passato bisogna sgombrare la mente e non avere aspettative o speranze di sorta. è normale per noi moderni proiettare la nostra psicologia, il modo di vedere il mondo ed il nostro stile di vita nelle azioni di uomini di migliaia di anni fa. In realtà con questi uomini noi abbiamo (forse) in comune solo un po' di codice genetico, ed il fatto che camminiamo sulla loro stessa terra. Per il resto non abbiamo le conoscenze, ne tanto meno il modo di percepire la realtà che avevano loro. Esempio fra tanti, delle pratiche che a noi sembrano inconcepibili, come quella di operare dei buchi nel cranio delle persone per eseguire delle pratiche religiose, sciamaniche o rituali (forse mediche e curative, ma non si sa ancora). Alcune cose ci possono sembrare "barbare", "primitive" e in generale difficilmente concepibili, ma questo è dovuto unicamente alla nostra istruzione ed alla nostra cultura. Per farti un paragone: i primatologi asiatici (orientali in genere) hanno un diverso approccio allo studio dell'etologia delle scimmie, rispetto agli scienziati occidentali, e questo è principalmente dovuto alla formazione ricevuta da un diverso ambiente e da una diversa società, nonché dalle diverse religioni delle diverse aree geografiche in genere più vicine a considerare gli animali come delle entità spirituali (induismo, buddismo, ecc); puoi immaginare quindi come uomini di 3000 anni fa, con noi abbiano ben poco in comune, almeno a livello di pensieri e modo di ragionare. Seconda cosa: la società che governava la fine (sottolineo due volte la parola fine) dell'età del bronzo in Sardegna probabilmente non era la stessa che costruì i nuraghi. Non facciamo l'errore di estendere una parte del poco che stiamo riuscendo a scoprire in quasi mille anni di preistoria nuragica. è un elemento che sottolineo sempre, che va (con sicurezza) banalmente dal modo di vestirsi ed armarsi (quindi come fare la guerra), sino al modo di costruire (basta pensare alla differenza abissale che esiste tra una torre nuragica ed uno dei centinaia di pozzi sacri esistenti in Sardegna) e infine al modo di governare. Facciamo molta attenzione, perché forse stiamo parlando di due società tra loro molto diverse, differenziate anche dai rituali funerari utilizzati. Non necessariamente quella società sviluppatasi in seguito dovette essere più evoluta (migliore) di quella precedente. Vorrei inoltre fare un rimando alle complesse società pre-colombiane, dotate di conoscenze astronomiche, mediche e architettoniche rilevanti, ma che spesso non disdegnavano la pratica dei sacrifici umani, per noi argomento tabù e certamente non facile. Capisco infine il tuo paragone. Può sembrare sciocco, ma ridotto ai minimi termini potrebbe essere letto così. Ma qui io mi tiro fuori dal discorso, perché non sono un esperto di etnoantropologia e non mi sento di azzardare di più rispetto al dato che sono riuscito a evidenziare dallo studio delle statue e dei resti antropologici degli inumati. Last but not least, esiste uno studio a opera del Prof. Mauro Perra, che è veramente un piacere da leggere ed interessante sotto molti aspetti, sul sistema organizzativo della società nuragica e sui vari modelli applicabili. A distanza di tutti questi anni sarebbe interessante rivederlo magari revisionato, alla luce di queste piccole scoperte. Ma questo è un compito che fortunatamente non spetterà a me. Un caro saluto. Alessandro.

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    1. Io penso,sicuramente in maniera errata,che il modo di vivere oggi non sia molto lontano da quello dei Sardi di 3000anni fa.Sicuramente in una città o con le nuove generazioni oramai globalizzate il discorso cambia,ma nei piccoli centri ,la gente viveva fino a poco tempo fa come un raccoglitore-cacciatore e l'alternarsi delle stagioni offriva possibilità di sostentamento diverse.Io parlo per il mio paese,microcosmo che rispecchia il tutto.La raccolta. del sale,la pesca del tonno,estrazione di ocra,manganese,ai primi anni del secolo non penso fosse molto diversa da quella dei vecchi abitanti isolani.Oggi la monocoltura del turismo e l'industria ci hanno trasformato e scollegati dalla nostra originalità, che già da piccoli ci indirizzava verso strade oggi impensabili per I giovani naviganti......virtuali.Anche per le lotte,mi viene da pensare che I capi,come oggi,non si esporrebbero in un corpo a corpo,ma giovani guerrieri li rapprentavano un po come nell'islola di pasqua nella corsa all'uovo.......Dico cazzate,ma io mi sento ancora cosí.....Grazie Alessandro,come potrò comprerò il libro sono curiosissimo.Salüi a tütti

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  8. Alessandro, il fatto di essere arrivato in modo indipendente alle stesse tue conclusioni (evidentemente non ho letto il tuo libro, ma mi proporrò di farlo al più presto), può significare che le evidenze che si riscontrano in ambito “Monte Prama”, seguono un filo logico supportato da studi di antropologia, che nel caso di Frazer, di certo non sono di ieri.
    Rispondo a Francesco che obietta dicendo: è anacronistica la selezione cruenta del capo rispetto al grado di civiltà; dicendo che proprio Frazer affrontando l'argomento nel 2° capitolo – Re-sacerdoti, scrive sul rito relativo ai sacerdoti di Diana a Nemi, il cosiddetto “re del bosco”, che di fatto per diventare tale doveva trucidare il suo predecessore; e questo si verificava, ancora, in età romana. Questa prassi viene spiegata col concetto che vuole lo spirito del regnante passare da un individuo all'altro, ed è proprio questo spirito che doveva passare “indenne” da un corpo all'altro, senza correre il rischio di perdersi, affievolito dalla malattia o la vecchiaia (capitolo XXIV – l'uccisione del re divino), fino ad arrivare, in certe società, alla uccisione del re a scadenza fissa, tale da scongiurare il deperimento fisico e per tanto, per non palesare il sia pur minimo segno di decadimento. In queste prassi mi sembra di individuare i motivi che determinarono la morte in giovane età dei “poderosi” inumati di Monte Prama.

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  9. Ciao Sandro, mi fa piacere leggere la tua risposta.
    Quando due persone arrivano alla stessa conclusione da strade diverse, il risultato non può che essere confortante.

    Per quello che hai scritto, condivido la visione di Frazer (su cui penso si sia basato Ugas per formulare la sua), anche se da un punto di vista antropologico non so quanto sia possibile da applicare a Mont'e Prama, e ti spiego perché:
    L'età degli inumati varia intorno ai 16-18 anni di età, pochissimi sono gli adulti (30-40 anni), e tutti gli "atleti" presentano vistosamente i segni di costanti ed estenuanti allenamenti. Alcuni presentano segni di fratture.
    Sulla base dell'età, non penso sia possibile pensare che questi siano i resti dei "re" uccisi dal nuovo pretendente. La logica richiederebbe che fosse una necropoli di soggetti maschi, tutti adulti. Invece ci troviamo in una situazione contraria. Come ho riportato nel libro, io penso che gli inumati siano i "pretendenti" al comando, o dei giovani Aristoi, che dovevano dimostrare in combattimento di essere adatti (a regnare? a diventare capi?). Inutile rimarcare che in un combattimento c'è chi vince e c'è chi perde. Non sappiamo come questi individui siano stati uccisi o siano morti, possiamo solo speculare: a seguito delle ferite? Avvelenati da qualche droga mediante qualche rituale? Ecc. è importante però rilevare che esiste un legame tra questa pratica "proto-gladiatoria" dei combattenti armati dell'iconico pugnale gammato, e che nella necropoli non esiste una sola raffigurazione di capotribù (quella che solitamente si vede nella bronzistica), e che TUTTA la bronzistica nuragica (mi prendo l'onere di affermarlo nel mio libro) rappresenta solo ed esclusivamente capi e sacerdoti in diverse vesti.
    Laddove tutti gli studiosi ad oggi di bronzistica nuragica hanno visto il "popolo dei bronzetti" come appunto una rappresentazione veritiera di tutte le classi sociali, dal più umile al più importante, io vedo solo la rappresentazione della medesima figura, il capo in armi, il capo ed il sacerdote.
    Ho lanciato questa importante considerazione in questo commento, ma aldilà della semplicità con cui ve la sto proponendo, questa idea è rivoluzionaria, per tutte le implicazioni che ne derivano. Inutile rimandarvi per l'ennesima volta alla lettura di tutto il libro. Un caro saluto.
    Alessandro

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  10. Ho già avuto il piacere di dare una prima lettura al libro di Alessandro Atzeni qualche mese fa, appena uscito. Non ho invece avuto ancora il tempo di studiarlo più approfonditamente come merita, soprattutto metterlo a confronto con alcune riflessioni fatte in questo blog e di MpBlog , dove di alcuni di questi aspetti si è discusso tanto, pur partendo da punti di vista differenti.

    Del libro ho apprezzato in particolare il fatto che ad una analisi 'iconografica' che parta da un dato di 'realismo' e di fattibilità (attraverso l'archeologia sperimentale, lo studio dell'armamentario e la sua applicabilità nella realtà...) Atzeni non si sia fatto 'tentare' da una lettura delle sculture come di un mero ritratto, come fossero didascalie.
    Che i bronzi abbiano a che fare con la dimensione del rito (quindi anche lotte e giochi rituali) comprese le deformazioni, ingigantimenti e sottolineature che ne derivano, è quello che penso anche io. Penso che i bronzetti nulla abbiano a che fare con il 'popolino' e penso invece che siano da guardare nella sfera del sacro ad ampio raggio e in questa direzione nell'ambito dei "riti di passaggio"...In questo senso per me sono coinvolte sostanzialmente tutte le rappresentazioni scultoree compresi i bronzi nudi o seminudi (l'ho provato ad esplicitare più recentemente per esempio con il bronzetto di Santa lulla di orune)
    Io però in questo contesto tengo sempre a mente la scrittura metagrafica del prof Sanna è quello che ci restituisce e su questo spesso ci siamo confrontati e continuiamo a farlo, divertendoci, ogni qual volta ne troviamo occasione. Il rapporto con il "divino" (problema di fatto teologico) mi sembra ancora lo spazio troppo poco indagato e in particolare la dimensione sacerdotale, che mi avvicina al pensiero di Sandro. Ringrazio Alessandro per aver portato qui il suo contributo e se avesse voglia di approfondire il mio pensiero (ma anche e soprattutto i commenti a corredo) qui alcuni link:

    http://maimoniblog.blogspot.it/2016/12/realismo-grottesco-e-liminalita-nelle.html?m=1

    http://maimoniblog.blogspot.it/2016/12/il-bronzetto-di-santa-lulla-di-orune.html?m=1


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  11. Nuova vita per I "Giganti"........

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  12. Ringrazio il Signor Ledda per il bel post, sicuramente approfondirò il suo discorso leggendo i link che ha riportato.
    Penso che sia arivato il momento di mettere fortemente in discussione la teoria corrente (supportata da molti "ricostruttori") che i bronzetti rappresentino popolani e personaggi di basso rango.
    Questa visione, profondamente radicata negli studi sul periodo nuragico è stata già messa in bilico dagli scritti della Lo Schiavo e da altri. Io ho cercato di dare il mio contributo come ricostruttore, antropologo e marzialista. Sono sicuro che ulteriori apporti da diversi campi di studio non possano che dare giovamento a questa ricerca, sempre tenendo ben a mente quali siano i binari su cui deve viaggiare una ricerca scientifica.
    Un caro saluto e grazie.

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