martedì 6 giugno 2017

Monte Prama, gli scultori-conservatori nuragici e il "nemico"

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di Atropa Belladonna
(il post compendia 2 note pubblicate su Monte Prama Novas
La pietra delle statue di Monte Prama: gli antichi scultori erano anche “conservatori”, 7.5.2017; 
Monte Prama alle prese col nemico: acqua, fuoco, fossili, microrganismi, sali, uomini e trattori, 27.5.2017)

Le statue nuragiche di Monte Prama (Cabras, OR) suscitano  reazioni contrastanti per il loro gusto estetico, ma nessuno dubita che dal punto di vista storico siano “meravigliose”: la datazione della necropoli associata alle statue le pone attorno al XI-VIII sec. a.C., i.e. secoli prima delle classiche statue di Greci e Romani. Il sito rappresenta sicuramente una delle scoperte archeologiche più importanti del XX secolo e chi segue queste pagine sa bene come stia regalando anche nel XXI emozioni non da poco. Il progetto di restauro e assemblaggio dei 5178 frammenti  è stato pluripremiato, per la difficoltà, per le tecniche di assoluta avanguardia messe in campo e per il risultato finale.  Quando i restauratori delle sculture di Monte Prama (progetto 2007-2011) si misero all'opera (alle prese con i reperti degli scavi 1975, 1977 e 1979, nonché con i frammenti rinvenuti occasionalmente), una delle attività fondamentali fu la diagnostica pre-restauro. Durante tale attività, indispensabile per l'ottimizzazione degli interventi conservativi, vennero alla luce alcuni aspetti inattesi: tra questi le misure che gli antichi scultori misero in opera per conservare le statue; vennero inoltre evidenziati e caratterizzati i restauri operati su alcuni pezzi esposti fin dagli anni '80 del secolo scorso, e i fattori umani e ambientali che "attaccarono" in tempi diversi le sculture nel corso dei millenni.


Ripari, levigatura, olio naturale e colore: come gli scultori di Monte Prama proteggevano e rifinivano le loro opere
Le statue di Monte Prama sono realizzate in biocalcarenite, una roccia calcarea con inclusioni fossili, fragile e vulnerabile, con il vantaggio di essere facilmente lavorabile e di presentare frattura netta per ricavarne i blocchi da lavorare. Nella scala di durezza Mohs è localizzata tra 2,5 e 3 (1): per avere un’idea del significato una durezza 2-2,5 si può scalfire con le unghie, la 3 con una punta di rame, tra 4 e 5 occorre un vetro da finestra, per la durezza 6 ci vuole l’acciaio. La pietra sembra provenire non dalle rocce carbonatiche circostanti, ma da un’area compresa tra Cornus e Santa Caterina di Pittinuri (20 km a nord di Monte Prama) (2); i provini però non hanno fornito dati omogenei: alcuni mostrano un colore più grigio e una tessitura più compatta, similmente ai calcari esposti delle cave di Is Aruttas che distano solo 6 km a ovest di Monte Prama (3); la questione della provenienza rimane quindi parzialmente aperta.
La biocalcarenite ha principalmente il problema della degradazione dovuta all’umidità: una delle maggiori cause di degrado è il fatto che sostanze chimiche acide dissolte e veicolate dall’acqua, come l’ anidride carbonica, erodono il calcare (4). A parte la semplice erosione, le inclusioni possono dare effetti molto gravi: il fossile pian piano si stacca e lascia una cavità (alveolizzazione), perchè l’erosione degli inclusi fossili è differente rispetto alla pietra circostante (5). Inoltre l’acqua supporta gli attacchi di tipo microbiologico da funghi, alghe e batteri, soprattutto in presenza di sali. Gli scultori di Monte Prama dovevano essere consapevoli dell'azione erosiva dell’acqua, perchè una delle cose che fecero fu quella di proteggere le superfici con sostanze impermeabilizzanti: “i gruppi (chimici) riferibili a idrocarburi ed esteri  sono pertinenti all’uso in antico di un prodotto riferibile a un olio naturale(3). Ma non fecero solo quello, cercarono anche di rendere le superfici meno porose: “Per quanto riguarda la tecnica di rifinitura delle superfici, il generale stato di conservazione, cancellando molti dati, condiziona il rilevamento delle informazioni. Si può affermare comunque che le superfici siano state levigate, sebbene non in forma sistematica. L’abrasivo utilizzato si può identificare in pomice o sabbia molto fine(6). Con ogni probabilità, anche se le tracce sono ancora troppo scarse per affermare che la tecnica fosse applicata sistematicamente, sulle superfici fu anche steso uno strato di bianca caolinite e poi di colore: "Le finiture originali sembrano riconducibili, in alcuni casi, a una decorazione pittorica realizzata con tecniche simili a quelle riscontrate nella pittura antica, basata sulla stesura di uno strato fine compatto di caolino e, quindi, nell’applicazione del colore, agglutinato con sostanze proteiche. D’altra parte, la presenza di oli naturali in alcune patine nere compatte, rinvenute in zone particolari dei frammenti, fanno anche ipotizzare l’uso di miscele collanti o di successivi interventi di protezione delle superfici a vista dei manufatti." (3).
Tutti questi interventi non possono che fare concludere che gli scultori conoscessero molto bene la pietra utilizzata, sapevano che era vulnerabile, sapevano come porre almeno un parziale rimedio a questa vulnerabilità e, soprattutto, non rinunciarono a utilizzarla: come del resto fecero altri scultori, prima e dopo di loro (Fig.1)



Fig.1: sculture in biocalcare. a. la "Dama di Elche", IV secolo a.C., con funzione di urna per ceneri; la superficie era levigata e colorata (7); b. testa di Nefertiti, XIV sec. a.C.: il degrado è dovuto all'erosione della pietra, ma per la maggior parte a distruzione deliberata delle statue di epoca amarniana (8); c e d: teste da Monte Prama.

Quindi possibilmente (anche se forse non sistematicamente): levigatura, strati di caolinite e di colore, oli naturali. L’ultima ma non la meno importante misura cautelativa fu probabilmente quella di mettere le statue al coperto - e qui iniziano davvero le difficoltà interpretative: “Il fatto che le statue presentino danneggiamenti recenti, dovuti ai lavori agricoli con mezzi meccanici, mentre si sono conservati molti particolari decorativi nelle parti preservate in in strati di terreno non intaccati è ben evidente dopo gli interventi di restauro. Appare quindi necessario, a parere di chi scrive, che vada ipotizzato un ambiente coperto, anche se l’ipotesi di una copertura, anche lignea, continua a essere ricusata dallo scopritore (Tronchetti 2012)(9). L’esistenza di una “struttura” che accoglieva le statue, viene ipotizzata anche da Antonietta Boninu, sulla base di una osservazione molto puntuale: “non sono da trascurare le caratteristiche formali delle superfici delle basi (delle statue, ndr); le due facce piane sono perfettamente rifinite, per l’appoggio l’inferiore e per la vista la superiore, sulla quale si impostava l’intera scultura, mentre le verticali sono sbozzate e scabre. Analizzate le proporzioni complessive delle statue con i valori ponderali è evidente che alle basi non è stata riservata funzione esclusiva di stabilità della composizione, ideata e realizzata con cura e perizia singolari. Escludendo a priori , nel contesto qualitativo, una svista dello scultore, resta il campo di un progetto per la collocazione originaria che ha previsto una struttura nella quale ancorare e fissare ciascuna scultura in sicurezza dell’opera e della funzione(10).

Quindi gli scultori di Monte Prama avevano “previsto tutto”? No, niente affatto: non avevano previsto o non avevano valutato gli incendi, di cui restano tracce sulle statue (3); non avevano previsto la distruzione deliberata delle sculture, l’asportazione dei lastroni (11) - e di molte basi della statue (10), non avevano previsto i trattori, non avevano previsto che una serie di collezionisti oggi si tengono in casa la maggior parte delle teste (10). Ma quella pietra la conoscevano, molto bene, e sapevano lavorarla con strumenti che ancora destano stupore (6); eseguirono interventi di protezione e conservazione che non lasciano meno stupiti. Per qualche motivo scelsero di utilizzarla nonostante sapessero quanto fosse vulnerabile e fragile; addirittura la trasportarono da 6 km (Is Aruttas) e da 20 km (Cornus-Santa Caterina), non è dato sapere come, quindi erano molto motivati in questo. Forse è un caso, ma proprio alle cave di Is Aruttas è stata trovata una necropoli (12), oggi distrutta, con pozzetti simili a quelli di Monte Prama; dove però i defunti avevano come chiusura i famosi corni litici: sono scomparsi, come pure le tombe. Eppure forse questi pozzetti erano la traccia di un passaggio importante.

[..]La storia delle sculture in frammenti parla di abbandono, interro, dilavamento, aratura, dissodamento, scasso....[..] (1)

I Distruttori 
Il primo nemico contro cui le sculture non poterono nulla fu la distruzione in antico, volontaria e sistematica, operata da quelli che potremmo chiamare a ragion veduta i Signori X:  tutte le ipotesi finora avanzate si scontrano -ad un certo punto- con i dati archeologici e con le cronologie emerse per gli inumati. Le statue furono fatte volontariamente e violentemente a pezzi: da chi e quando rimane un enigma, nonostante  gli sforzi di costruire modelli per lo più basati sulle preferenze personali; un approccio che dà luogo a tesi non verificabili ma che ha dato, purtroppo, origine a modelli storici e culturali per l’episodio di Monte Prama che tuttora vengono propagati, senza alcun fondamento certo. Ceramiche, datazioni al C-14 e lo scavo dell’edificio associato alla necropoli, non consentono di spingersi a tempi più recenti dell’ VIII sec. a.C.  per la fine di Monte Prama (11, 13a, 13b, 14). Con i Fenici che si installano a Tharros non prima del VII secolo, con i dominatori Cartaginesi e Romani ancora lontani secoli, e con la consapevolezza che la grande statuaria antropomorfa non si ripetè nella Sardegna nuragica, personlamente non credo rimangano molte ipotesi se non quella di un episodio interno (15a), di una sorta di furia iconoclasta non molto diversa da quella che colpì duramente le sculture dell’epoca di Amarna in Egitto.

L’ipotesi avanzata da alcuni  di una totale incapacità degli scultori di “tenere in piedi” le statue, e quindi di un crollo “spontaneo” del complesso scultoreo o addirittura di una mancata realizzazione del progetto, si scontra con l’evidenza stessa della sua esistenza e delle misure messe in atto in antico per conservare le opere (vide supra).  Ancora ignoto rimane il significato dei vari fori, alcuni recanti tracce di piombo, realizzati in antico su molte statue (vd. immagine di copertina) (1, 15b, 16,17). Questo non significa che non vi siano segni di stress fisici, come fratture e fessurazioni di varia entità, dovute però principalmente al fatto che il materiale in giacitura-poroso-dovette subire sbalzi termici e igrometrici (16)

L’acqua, gli acidi, i sali  Tra i vari agenti atmosferici e ambientali l’acqua, con la sua azione erosiva e in combinazione con altri elementi, è stato il peggior nemico; come sopra ccennato, la pietra calcarea ha un problema analogo a quello che ha il calcare del bagno quando vi spruzzate sopra un acido, cioè tende a sciogliersi (6). L’acqua in equilibrio con l’atmosfera infatti non è neutra (pH =7) come l’acqua distillata in un contenitore chiuso: è acida, perchè l’anidride carbonica dell’aria vi si discioglie formando acido carbonico; il pH diventa circa pari a 4: il che non sarebbe drammatico in seguito a un breve contatto, ma lo diventa quando il contatto è prolungato. La presenza di altri contaminanti (es. ossido di azoto e sale) o inquinanti nel terreno e nell’atmosfera aggrava il problema: l’erosione sui frammenti scultorei è presente a vari livelli: dal cd. pitting (microerosione), fino all’alveolizzazione e alla cavitazione (fig.2). In più ci sono le inclusioni fossili, per i quali l’azione erosiva è diversa rispetto alla pietra, con il risultato che possono distaccarsi e lasciare cavità (16). Non tutti i frammenti scultorei però presentavano i fenomeni di erosione, un segno evidente che questi sono dipesi dall’ambiente di giacitura: come già sottolineato le statue dovevano essere in origine al coperto (9,10).


Fig.2. Tavola che evidenzia in rosso i fenomeni di erosione e alveolizzazione (16). Come si vede per alcuni frammenti questi non si riscontrano, seppure possano essere presenti fenomeni di microerosione puntiforme e/o annerimenti e altre alterazioni di colore dovuti a restauri pregressi (15b) o a ossidi di ferro (18)
L’acqua è  un ottimo veicolo per i sali, come il banale cloruro di sodio o i solfati, riscontrati sotto la superficie dei frammenti e che a volte danno origine a vere e proprie efflorescenze (fig.3); e infine l’acqua supporta tutti contaminanti di origine biologica, come le muffe e le alghe.

Fig.3. a. mappatura delle alterazioni macroscopiche di "Segundu" (si veda anche la fig.2) (16)b. un campione lapideo (busto del pugilatore "Bobore") dove sono visibili una patina nera fortemente assorbita sulla roccia, sopra di essa una lamina di calcite secondaria e infine una patina terrosa contenente calcite secondaria e ossidi di ferro (18); c. immagine in fluorescenza UV (da "Balente) che evidenzia tracce di nero carbone di legna nelle scanalature, concrezioni carbonatiche (chiare) e concrezioni terrose (più scure) (18)


Gli attacchi biologici
L’acqua, l’ambiente circostante e la pietra stessa in giacitura hanno supportato la proliferazione di batteri, funghi, licheni, alghe e altre specie vegetali: in qualche caso è difficile distinguere l’annerimento dovuto a muffe  da quello legato a incendio o a pigmenti organici, ma per fortuna in questo aiutano le analisi di tipo chimico-fisico (18). In fig. 4 è riportata una tabella che illustra la complessità dei risultati ottenuti analizzando alcuni campioni lapidei.

Fig.4, dal rif. (18)
Il fuoco
A Monte Prama vi sono tracce di uno o più incendi (fig.5, fig. 3a), ma non certo di un incendio sistematico: cioè al sito non fu dato apparentemente fuoco per scopi distruttivi (16, 18).
La combustione non ha dato variazioni volumetriche delle sculture, ma ha modificato la tessitura del materiale: la superficie combusta diventa compatta, priva dei microfossili, e liscia. Le analisi chimico-fisiche sono state in grado di distinguere tra patina nera dovuta a combustione e annerimento dovuto ad alghe mineralizzate (fig 3b,c) (18).

Fig.5. Annerimento della pietra calcarea dovuto a combustione (16)

Tempi moderni
Poi arrivarono i trattori, nei primi anni ‘60 del secolo scorso. Con essi emersero le prime sculture, ma iniziarono anche quegli anni bui per il sito di Monte Prama in cui non si sa davvero che cosa successe (15c). Le date si confondono così come i siti dei primi ritrovamenti: è recente la notizia che il magnifico modello di nuraghe trilobato (unico nel suo genere) non proviene da nuraghe Cannevadosu, ma da Monte Prama (15d,19), assieme a un altro modello e a una base di statua con piede. La data ufficiale dei primi ritrovamenti è marzo 1974, ma il sito sarebbe quindi noto fin dal 1960. Da quella data viene depredato: le voci raccolte a Cabras parlano di persone che si servivano a piene mani di statue o frammenti di statue, raccontano di collezionisti che posseggono teste di una bellezza classica, parlano di pezzi di statua buttati nello stagno, accusano gli enti preposti di lassismo colpevole: “Ricordo busti senza testa, basamenti di colonne, li buttavano al confine degli appezzamenti,  poi tombe che uscivano fuori dalla terra, lastre. Per tutti quegli anni nessuno se ne è preoccupato”. Chi parla è Mena Manca Cossu, presidente di Italia Nostra per la provincia di Oristano: testimone oculare e preziosa custode di molti reperti di Monti Prama. “L’ultimo pezzo di braccio di un arciere l’ho consegnato circa tre mesi fa - ricorda -, ma le visite della Sovrintendenza sono state moltissime. Nel mio giardino ho custodito per anni un vero e proprio tesoro”. “Lo sanno tutti che per paura si buttavano pezzi di statua nello stagno - spiega Mena Manca Cossu - ma trovare qualcuno che lo ammetta è ormai quasi impossibile”(19)
Quasi incredibilmente la manomissione del sito e le asportazioni di materiale sono continuate anche tra il 1979 e il 2013, epoca delle ripresa degli scavi: questa volta hanno riguardato soprattutto i lastroni che formavano le aree lapidee, vero e proprio materiale d’asporto (13c).   Il valore economico di tale materiale è infimo, il danno storico della sua asportazione immenso: senza i lastroni risulta oggi impossibile ricostruire forma e altezza delle “aree lapidee” nell’area “Bedini”, come doveva apparire agli spettatori di allora (11). La lotta contro il nemico non è finita.

Altri involontari danni sono stati portati da restauri operati su alcuni frammenti esposti al Museo di Cagliari fin dagli ‘80 del secolo scorso: l’applicazione di un protettivo un pò “vecchio stile”, ha determinato un’alterazione cromatica oggi purtroppo ben visibile sulle statue di due pugilatori (15b). In alcuni casi sono stati inseriti dei perni, con spiacevoli conseguenze. Riportiamo a questo proposito le parole di Roberto Nardi: “[..]Alcuni elementi della collezione erano stati restaurati a cura della Soprintendenza per i Beni archeologici delle provincia di Cagliari e di Oristano negli anni Settanta-Ottanta; si tratta dei reperti che per circa venticinque anni sono stati esposti nel Museo Archeologico Nazionale di Cagliari. Tali interventi sono stati finalizzati all’esposizione muscale ed erano limitati ad una campionatura dei ritrovamenti archeologici. Nel corso di quell’intervento i reperti originali furono consolidati, protetti con resine irreversibili, traforati e rimontati con perni interni in ferro, allettati in resina poliestere addizionata da cariche minerali, Sintolit . I fori e le variazioni macroscopiche del colore originale sono oggi evidenti in quei reperti trattati negli anni Settanta, alterazioni cromatiche dovute ai solventi impiegati nel consolidamento ed alle alterazioni delle proprietà chimico-fisiche del prodotto utilizzato allora come consolidante e come protettivo. Si è quindi proceduto nella rimozione dei perni in ferro, del mastice utilizzato per fissarli e nella rimozione parziale della resina sintetica, un copolimero stirene acrilico, applicata per la protezione superficiale.[..] (20)

Fig.6. A sin. la testa di "Fastigiadu";  a dx. la testa di "Gherreri", dove nei pressi della bocca si notano tracce di combustione; entrambe le teste furono sottoposte a restauro negli anni '70 del secolo scorso, con l'applicazione di un protettivo (responsabile dell'alterazione cromatica, come nel caso di "Efis"; non mostrano fenomeni di macroerosione o alveolizzazione (vd. fig. 2), ma sono evidenti le microerosioni, le patine e il risultato degli attacchi biologici (21). La giacitura di "Fastigiadu" ha garantito una particolare buona preservazione dei dettagli, come nel caso di altri frammenti scultorei del sito.


Bibliografia e note
(1) Andreina Costanzi Cobau, Alla radice della ricomposizione: la ricerca degli attacchi, In:  Le sculture di Mont'e Prama - Conservazione e restauro, a cura di: A. Boninu & A. Costanzi Cobau,  Gangemi Editore, 2014, pp. 123-130
(2) Giacomo Oggiano, Paola Mameli, Stefano Cuccuru, Indagine preliminare di rocce carbonatiche relative ai reperti di Mont’e Prama,  In: Le sculture di Mont’e Prama–Conservazione e restauro" 2014, Gangemi editore, pp. 103-108
(3) Costantino Meucci, Frammenti lapidei da Mont'e Prama: studio della composizione, del degrado e dei trattamenti conservativi,  In: Le sculture di Mont’e Prama–Conservazione e restauro" 2014, Gangemi editore, pp. 83-100
(4)  Camaiti, Mara, et al. "Effects of atmospheric NO x on biocalcarenite coated with different conservation products." Applied geochemistry 22.6 (2007): 1248-1254.
(5) Andreina Costanzi Cobau, Documentare per conservare, In:  Le sculture di Mont'e Prama - Conservazione e restauro, a cura di: A. Boninu & A. Costanzi Cobau,  Gangemi Editore, 2014, pp. 113-122
(6) Peter Rockwell, «Le tecniche antiche» In: Le sculture di Mont’e Prama–Conservazione e restauro" 2014, Gangemi editore, pp. 353-360
(7)  Luxán, M. P., J. L. Prada, and F. Dorrego. "Dama de Elche: pigments, surface coating and stone of the sculpture." Materials and structures 38.3 (2005): 419-424. La fotografia è tratta da questo sito
(8) Da questo sito: http://www.ngv.vic.gov.au/explore/collection/work/840/ 
(9) Luisanna Usai, Mont’e Prama prima del restauro, In:  Le sculture di Mont'e Prama - Conservazione e restauro, a cura di: A. Boninu & A. Costanzi Cobau,  Gangemi Editore, 2014, pp. 48-56
(10) Antonietta Boninu, Il restauro, le lacune e le fratture parlano, In:  Le sculture di Mont'e Prama - Conservazione e restauro, a cura di: A. Boninu & A. Costanzi Cobau,  Gangemi Editore, 2014, pp. 400-412
(11) USAI A. 2015, Mont’e Prama 2015. Nota preliminare, in Quaderni della Soprintendenza Archeologia della Sardegna, 26, pp. 75-111
(12) Vincenzo Santoni, Regione Is Aruttas, «Rivista di Scienze preistoriche», 1977, pp. 354-355.
(13) Monte Prama Novas (note).  a. A Monte Prama gli edifici confermano il C14 sugli inumati: il sito iniziò prima dell’Età del Ferro. E forse anche le sculture,  30.10.2016; b. Quando il Sinis nuragico andò a gambe all’aria, 12.032017;  c. Lastroni d’asporto,  18.09.2016
(14) USAI A., VIDILI S. 2016, Gli edifici A-B di Mont’e Prama (scavo 2015), Quaderni. Rivista di Archeologia, 27, pp. 253-292 
(15) A. Belladonna, a.  Gli Sherden, l'Egitto, il Vicino Oriente: la doppia faccia dei documenti. E Monte Prama allora?, 10.02. 2017, maimoniblog.blogspot.it; b. Fori in mostra: antichi e.... anni '70-'80, 08.03.2015, monteprama.blogspot.it; c. Monte Prama: 1974 e dintorni, 19.03.2015, monteprama.blogspot.it; d. 60 anni e non sentirli: la più bella scultura da Monte Prama, 01.10. 2016, maimoniblog.blogspot.it; e. Bianco, rosso, nero: la questione del colore a Monte Prama, 15.06.2015, maimoniblog.blogspot.it; 
(16) A. Costanzi Cobau, Documentare per conservare,  In: Le sculture di Mont’e Prama–Conservazione e restauro" 2014, Gangemi editore, pp. 112-122 
(17)  A. Costanzi Cobau & A. Boninu, Protagonisti e comprimari di una storia, In: Le sculture di Mont’ePrama–Conservazione e restauro" 2014, Gangemi editore, pp. 181-352
(18) Costantino Meucci, Frammenti lapidei da Mont'e Prama: studio della composizione, del degrado e dei trattamenti conservativi,  In: Le sculture di Mont’e Prama–Conservazione e restauro" 2014, Gangemi editore, pp. 83-100
(19) Raimondo Zucca, Monte Prama (Cabras,OR). Storia della ricerca archeologica e degli studi. Tharros Felix 5, In: di A. Mastino, P. G. Spanu, R. Zucca (a cura di), Tharros Felix 5, Carocci editore, 2013, pp. 199-296.   
(20) Andreina Costanzi Cobau & Roberto Nardi, L'intervento di conservazione e restauro, In: Le sculture di Mont’e Prama–Conservazione e restauro" 2014, Gangemi editore, pp. 130-142
(21) P. Bernardini, Le sculture di Mont’e Prama nella società nuragica, In: Le sculture di Mont’e Prama–La Mostra" 2014, Gangemi editore, pp. 156-192

6 commenti:

  1. Spargi sale sulle mie ferite aperte.....Penso che I nostri governanti siano il cancro della Sardegna e non salvo nessuno dall'oscurantismo nel quale ci hanno fatto vivere,cercando sempre di occultare la verità anche quando il re era nudo.Scusate il mio sfogo fuori tema,ma ho visto la mia isola sparire sotto l'indifferenza generale.Grazie a voi e alla vostra costanza ho ripreso ad avere un po di fiducia.......

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  2. Quant'è brava Antonietta Boninu! Ce ne fossero altri dello stesso calibro!

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    1. Puoi dirlo forte, e anche la Costanzi Cobau e Nardi. Dopo tanta sfortuna, le statue hanno incontrato dei restauratori superlativi

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    2. Grazie! Direi che tutto il progetto di restauro/conservazione/musealizzazione sia il risultato di una magnifica sinergia tra diverse figure professionali. E quando ciò succede il risultato è assicurato. Lavorare bene assieme diventa più facile e lo si fa con più gusto. Anche se con un bel mal di schiena, la trasformazione dei frammenti di biocalcare in sculture su tralicci è stato il risultato di un complesso progetto preliminare e di un altrettanto complesso progetto esecutivo. Poi, fondamentale, la documentazione/pubblicazione di tutto il lavoro fatto, per registrare e diffondere. Grazie per la precisione del lavoro di diffusione.

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  3. Hanno cercato di distruggerle in tutti i modi queste benedette statue. Sono state mutilate, sfregiate, ridotte in pezzi, attaccate dall'acqua e dalla malasorte, nascoste dalla terra e dall'oblio; poi di nuovo sfregiate dall'aratro, mutilate dalla cupidigia umana, riesumate e nuovamente precipitate nell'oblio. Ma non basta, per amor della conserva sono state trapanate ed armate di ferro per esser malamente ricomposte. Poi alla fine il buon senso ha avuto la meglio. Il nuovo ultimo restauro le ha liberate dall'oblio; e benché mal ridotte, piene di acciacchi e mutilate, sono lì, testimoni di una grande civiltà. Testimoni di una società capace di lavorare l'essenza litica in modo magistrale, con l'esperienza che l'età neolitica iniziò a forgiare, senza dover scomodare per forza lapicidi levantini insegnatori.

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  4. Certo, ma mi riferivo in particolare a quella geniale osservazione che hai messo giustamente in rilievo circa le caratteristiche formali delle basi e al motivo di esse. Ma se dovessi dire sul 'superlativo' aggiungerei il lavoro degli esperti di archeometria. Anche quello lo hai già sottolineato. E sappiamo bene che erano giovani 'tori' d'aspetto perché la 'religio' dei figli del Toro li voleva così, esattamente come nelle statue. Quanto alla loro distruzione, non violenta ma violentissima, fatta con accanimento incredibile, sai come la penso. Non ci fu solo la distruzione di Cornus. Purtroppo!

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