domenica 3 dicembre 2017

Scrittura etrusca. Due piatti (tra i tanti) per il bello terreno delle tombe ma soprattutto per la salvezza e la rinascita celeste. ‘Pesci volanti’ immortali e un collo taurino solare per la bella luna.

di Gigi Sanna 

Si  dice che la lingua etrusca è ancora, per svariati motivi, un enigma e un 'rebus'. Ciò si sostiene, naturalmente, sulla base delle grosse difficoltà che insorgono nel cercare di capire di essa molti degli aspetti lessicali, morfologici e sintattici. In realtà, a mio parere, il 'rebus' sussiste e resiste nel tempo non 'solo' per motivi di carattere grammaticale e linguistico, ma anche e soprattutto perché si stenta a considerare un aspetto essenziale dell'etrusco: che la scrittura è criptica, cioè organizzata e strutturata di proposito con il rebus. E' realizzata per non essere capita se non da pochissimi.  Pertanto nella misura in cui si comprenderanno i meccanismi, spesso sofisticati, del rebus, posti di norma in essere dalle scuole scribali dei santuari, si comprenderà la lingua etrusca. Essi sono simili e spesso gli stessi usati dagli scribi dei templi greci e nuragici. In particolare quelli inventati dagli scribi di  questi ultimi. 

 

                       fig. 1                                                                     fig.2                                             (ricostruzione segnico -pittorica)

   Abbiamo visto nei due articoli precedenti due documenti, uno in bronzo e l’altro in pietra,  riguardanti  la scrittura nuragica a rebus (1). Li abbiamo interpretati alla luce delle solite convenzioni del metagrafico che prevede, ricordiamolo ancora una volta, l’uso dell’acrofonia, della ideografia e della numerologia. Ci siamo soffermati in particolare sulla figura del pesce che per via ideografica ha dato, in entrambi i casi, il valore di ‘muto, silenzioso’. Allusione al procedere (al distendersi) giornaliero degli astri sole e luna nella volta celeste. Ne vedremo ancora degli altri di pesci nuragici, davvero straordinari, alludenti alla ‘silenziosità’ delle fonti di luce taurine.



   Trattiamo ora di un piatto etrusco custodito nel Museo di Trieste che è stato, erroneamente, così come è accaduto per tanti altri piatti funerari degli etruschi, inteso e descritto in senso solo formale - decorativo  o al massimo simbolico (2). Invece il piatto ha, a motivo dei suoi particolarissimi ‘segni’ sia nella parte concava che in quella convessa (sopra e sotto)  un significato molto più pregnante che spiega il motivo per cui, con ogni probabilità, fosse posto a corredo in una tomba (3).
   Analizziamolo per benino e vediamo che cosa esso intenda esprimere al di là dell’aspetto ‘superficiale’ e cioè quello decorativo:   


Nella faccia superiore abbiamo:

 - La circonferenza del piatto

 - sei cerchi concentrici di colore bianco e rosso alternati .


Nella faccia inferiore abbiamo:  

- quattro uccelli - pesce

- il senso rotatorio ciclico a destra di essi ma dandosi le spalle

 - Gli eleganti ma ‘ mostruosi’ animali uccelli - pesce che sollevano il collo,  distendono il corpo e piegano la coda.

-  Il segno a raggiera e a punto della base.

    Considerati gli enigmatici animali mostruosi si intuisce che siamo davanti a un rebus. Che ci stanno  fare essi, disposti per di più in una parte poco o per nulla visibile del manufatto? Perché la parte più preziosa e decorativa sta sotto e non sopra? Quella composizione sembra nascondere qualcosa, avere un significato ‘oltre’ il decorativo, sulle prime quasi inavvertibile; inavvertibile  perché tutti sono portati a credere che il pittore artigiano non abbia proceduto se non con l’intento di creare un bel piatto, armonico per geometria, equilibrato per disposizione di soggetto (aniconico nella parte superiore e iconico in quella inferiore), arricchito da intriganti misteriose creature. Insomma  un piatto prezioso, bello da vedersi e garante, in una tomba nobiliare, di magnificenza e di sfarzo. 
Il rebus si scioglie, come per altre numerose raffigurazioni  etrusche, solo se noi diamo voce a quei segni,  interpretandoli ideograficamente, numericamente e acrofonicamente.


Ecco cosa si ottiene con la sintassi sopra -sotto:
    luce alterna del sei / forza (il valore del quattro, del numero degli animali uccello - pesce) ciclica (il movimento rotatorio di essi) che vola (uccello) muta  (pesce) e padre (acrofonia: apac ) e madre (acrofonia: atic) immortale (nove):
Della luce alterna del sei forza ciclica che vola muta del padre/madre (sia padre che madre) immortale/i.
    Così come per i sarcofaghi, le urne, i dipinti delle pareti delle tombe, gli affibbiagli ed altri oggetti apotropaici ancora (4) anche i piatti entrano dunque a far parte del ricchissimo campionario di scrittura a rebus con impiego del metagrafico. 
    Per confermare scientificamente il dato empirico prendiamo il piatto seguente (fig. 3) anch’esso custodito nel museo triestino.



 fig.3
    Il  soggetto è diverso, ma basterà dare uno sguardo iniziale, anche  superficiale, alla figura che campeggia al centro del vaso per notare subito un particolare. Così vistoso da far subito sospettare  che in quel bellissimo, artistico disegno, c’è del nascosto e del criptato che deve essere decodificato per essere inteso. Infatti, si osservi attentamente il collo dell’immagine offerta vistosamente come femminile. Quello è un collo  taurino  di un uomo forte e d’atleta impegnato con i pesi;  non il collo (e il mento) di una fanciulla. C’è, innegabile, in quel raffinato disegno, un mix di maschio e di femmina che va subito compreso nella sua stranezza per poter afferrare anche tutto il resto. Il mix è videntemente allusivo non ad una persona ma alla divinità etrusca che, come sappiamo (5), si presenta androgina. Anzi sappiamo, e non solo dall’esempio precedente (6), che essa è di natura astrale, solare - lunare e sappiamo ancora che le due qualità luminose degli astri appartengono, nella ‘religio’ etrusca, agli dei Tin e Uni. Quindi iniziamo l’analisi dell’iconografia del piatto partendo da due dati sicuri che poi è uno solo: quello dell’androgino celeste TIN/UNI.
  Vediamo però se dai non pochi particolari significanti presenti nel piatto, comprendiamo il perché dell’esistenza di quell’androgino, il motivo per cui l’artigiano scriba (7) lo ha disegnato e, in qualche modo, ‘scritto’. Per la scrittura, si sa, non bastano le immagini anche se esse possono dare l’idea  e comunque comunicare in qualsiasi lingua; ci vuole il procedimento acrofonico attraverso il quale, per convenzione, si ottengono le consonanti (e per gli etruschi, con lingua/e indoeuropea/e, anche le vocali) e quindi il lessico specifico in una determinata lingua.
    Osserviamo la figura del donna/uomo disegnata nel piatto. Essa porta una cuffia molto preziosa, con una parte protettiva dei capelli frontale a diadema con su disegnato un motivo ad onda ricorrente e con una parte posteriore  a rombi ricorrenti con un punto all’interno’, che  protegge, ripara, tutela (i capelli), così come quella superiore.  
   Si hanno dunque le voci  continua/immortale’ e doppia protezione continua/immortale (l’iterazione del segno rombo più il punto). Abbiamo quindi ricavato un segmento ulteriore di senso e cioè: doppia protezione immortale + immortale. Il dato cognitivo si aggiunge a quello (che già sappiamo) della presenza dell’androgino Tin/Uni. Si avrebbe dunque la ‘semplice’ sequenza doppia protezione immortale di TIN/UNI immortale? Tutto dunque elaborato e impostato dallo scriba su base ideografica? Sappiamo però  da tantissimi altri documenti (8) che la lettura solo ideografica e magari anche numerologica risulta monca senza il calcolo dell’acrofonia. Questa la si scopre osservando con attenzione il resto dei significanti presenti sul volto della donna, o meglio dell’androgino. In esso si notano i capelli che ‘spuntano’, ‘ una ciocca che si distende e curva (si arriccia). Abbiamo insomma la solita formula del ‘sorgere/spuntare, sollevarsi’ +  il distendersi + il curvare: quegli aspetti quasi ‘normativi’ che rendono l’acrofonia vocalica, sillabica e consonantica sia attraverso la lingua latina sia attraverso quella greca (lingue, non si dimentichi, presenti in Etruria) per dare in modo ternario la lingua etrusca (9). 
    Si noti però che il sorgere, il distendersi, il curvare diventa doppio perché esso deve essere attribuito alla coppia, all’androgino, al due e non ad uno solo.
   In ragione di ciò abbiamo con la precedente sequenza: doppia protezione immortale e del padre (apa c) e madre (ati c) immortali. Ancora una volta (10) dunque nella formula non compare il nome esplicito di Tin e di Uni (e pertanto non vale la possibile sequenza ideografica TIN/UNI) ma l’allusione ad essi attraverso le apposizioni padre/madre ottenute attraverso l’acrofonia. Il motivo però non è solo quello di nascondere il nome divino ma è anche quello del senso che deve avere il piatto deposto non a caso in una tomba, di certo del tutto significativa per altri segni ancora (architettonici, pittorici, scultorei),  sul tema fondamentale che è quello della rinascita. Infatti, l’augurio della rinascita, l’esorcizzazione della morte si ha attraverso un babbo e una mamma ovvero dei genitori che operano fattivamente, con il massimo dell’energia luminosa,  al fine che essa possa avvenire.
     Qui si potrebbe concludere l’esame ermeneutico del piatto funzionale alla religio dei morti e della salvezza di essi ad opera di una coppia divina. Manca però ancora qualche dato importante: la qualità di quella coppia e la natura di essa. La coppia è divina certo, ma di che divinità specifiche si tratta? Manca poi la decifrazione del significato (l’allusione) all’orecchino formato da un cerchietto e tre perline e il significato dei tre segni decorativi della collana, nonché il significato di quel collo particolare (potente). Si ricordi che nell’etrusco così come nel nuragico tutto conta per la lettura perché ogni particolare è, in genere, finalizzato ad essa. 
   La qualità la si comprende, come nell’esempio precedente, esaminando sia il significante ideografico dato dalla circonferenza (luce) del piatto (11), dal motivo floreale ‘ciclico’ e dal motivo ad arco continuo (ricorrente). Quanto al significato dell’orecchino esso va trovato ancora nella circonferenza (luce) e nel tre; così come dal tre della collanina con le sue tre decorazioni (12) dobbiamo ricavare altro significato. Perché tutto ha significato. Dipinto perché lo abbia.  
    Procediamo però ancora pian piano per gradi per cercare di capire, oltre alla luce ciclica che si riferisce alla coppia divina celeste, anche la natura di quei due tre.
    Dal momento che la lettura del piatto non può essere anarchica (cioè ricavata dall’insieme dei segni presi qui e là a capriccio) ma rigorosamente ordinata per convenzione nello spazio (la superficie del piatto) ripeteremo il tutto di senso partendo rigorosamente dal bordo, dall’esterno verso l’interno (13), con i singoli significanti o segni. Aggiungeremo anche, per chiarezza, le convenzioni scrittorie del codice metagrafico che presiedono a quella scrittura -lettura:

-  luce :cerchio del piatto: ideografia.
- ciclica (15): il motivo floreale: ideografia.
- immortale: il motivo ad arco continuo: ideografia.
- doppia protezione : cuffia: ideografia.
- continua  : rombi + punto ripetuti : ideografia e numerologia.
-  immortale: motivo ad ‘onda corrente’: ideografia.
- che spunta:  chioma : acrof. ‘a’.
- che si distende: ricciolo: (acrof. ‘pa/ti’ )
- che curva:  ricciolo:  (acrof.’c’)
- luce: il cerchio  dell’orecchino: ideografia.
- tre: le perline dell’orecchino: numerologia.
- tre: le decorazioni (perle?) della collanina: numerologia.
- taurino: il collo dell’androgino : ideografia.


Il risultato definitivo attraverso i dati  ottenuti, ideografici, acrofonici e numerali sarà, con ogni probabilità, questo:   

(della) luce ciclica continua /
doppia protezione  continua/
(del) continuo/i  e padre e madre (apa C ati C)/
luce del tre (solare)  del tre (lunare).  

Noi sintatticamente diremmo così: doppia protezione continua/ della luce ciclica continua/ del padre e della madre continui/ luce del  tre e tre (del sole e della luna).  

   Forse è il caso di far osservare che il motivo della luce,  ‘della forza della luce’, si esplica anche e soprattutto, in maniera estremamente criptica, attraverso la numerologia ovvero la quantità, le sequenze e il raggruppamento dei lemmi (si vedano le nostre sbarrette messe a bellaposta). Infatti si ha:il quattro (i quattro raggruppamenti ternari), il tre (le sequenze) e  il dodici (la quantità dei lemmi).

   Quindi avremmo una seconda lettura o lettura aggiuntiva del piatto: tre forza del dodici (della luce) oppure  forza luminosa del tre sole/luna.

     Questa lettura aggiunta è stata inventata dai nuragici (14) come ben dimostrano, tra le altre,  le seguenti ( figg. 4 e 5)scritte di Santo Stefano di Oschiri (15) e della scogliera di San Giovanni (Tharros)  del Sinis (16).



     
Fig.4.  Il 3, il 4 e il 12 di Santo Stefano di Oschiri          
 Fig. 5. Il 3, il 4 e il 12 di Tharros ( particolare  delle lettere ‘nun’ e 'resh’, apparentemente lettere romane,  nei quadrati ).



    Presentiamo infine (figg. 6 e 7) altri due piattelli (17) etruschi, uno dei quali della stessa tipologia del secondo che, sulla scorta delle interpretazioni date, possono essere letti facilmente. Si basano sempre sulle stesse precise convenzioni ideografiche, numerologiche e acrofoniche in uso sia tra i Nuragici che tra gli Etruschi. Non li leggeremo subito, in attesa che qualcuno, volenteroso e desideroso di toccare con mano questo straordinario modus scribendi, si eserciti e lo faccia per proprio conto. Pertanto rimandiamo l’interpretazione ad un prossimo articolo.
    

fig. 6                                                                          fig.7





Note, indicazioni web e bibliografiche


1.http://maimoniblog.blogspot.it/2017/11/uno-straordinario-bronzetto-allasta-un.html ; http://maimoniblog.blogspot.it/2017/11/ii-un-pesce-e-un-serpente-ferito-nella.html
2. Spesso in archeologia quando si parla di simboli si resta, ermeneuticamente parlando, fermi al palo. Non c’è progresso in termini di conoscenza scientifica. Infatti, simboli sì, ma ‘simboli, allusioni, riferimenti’ a che cosa di specifico? E si dimentica  che  ‘simboli’  per eccellenza sono quelli alfabetici e quelli della comunicazione scritta espressiva.
3. Le tombe nobiliari etrusche costituiscono sempre un concentrato di ‘segni’ (sarcofaghi, pitture, oggetti, architettura dei locali, ecc.)  in funzione religiosa e  particolarmente rivolti alla divinità luminosa taurina (Tin/Uni/Sole/Luna) a cui ci si appella per la buona riuscita nel viaggio degli inferi e per la rinascita nel mondo celeste.    
4. Tra questi, in alcune tombe, spiccano gli oggetti dell’artigianato religioso sardo in bronzo. Manufatti tutti con simile o identico messaggio ‘scritto’ per l’ottenimento della salvezza tramite l' inscindibile coppia divina soli - lunare.
5. Tra gli altri si veda il nostro ultimo http://maimoniblog.blogspot.it/2017/11/sollevarsi-distendersi-piegarsi-ancora_5.html
6. V. nota 5.
7. A realizzare questi piatti (e il resto della segnica religiosa degli oggetti funerari ) è, con ogni probabilità, una scuola sacerdotale dove gli scribi apprendono l’arte dello scrivere disegnando e del disegnare scrivendo. Una scuola del tutto identica a quella scribale nuragica. Naturalmente la realizzazione materiale degli oggetti era affidata il più delle volte ad artigiani non scribi che non si preoccupavano (e di sicuro non ne erano al corrente) della ‘scrittura’  ma dell’effetto formale - decorativo.  Infatti è difficile pensare a delle maestranze che sapessero tradurre gli oggetti riportati in metagrafico e cioè con specifiche e convenzionali norme di scrittura. E forse la non menzione di questa scrittura nelle fonti classiche fu dovuta alla segretezza a cui erano tenuti gli scribi nella molteplice produzione attinente la religione e la religiosità.  
8. V.ad esempio il documento in  htmlhttp://maimoniblog.blogspot.it/search?updated-max=2017-10-19T15:24:00%2B02:00&max-results=10&start=10&by-date=false
9. http://maimoniblog.blogspot.it/2016/12/tarquinia-lancora-della-salvezza-e-il.html
10. Gli Etruschi , così come i nuragici, erano restii, per motivi di superstizione, a scrivere direttamente  il nome della divinità. Perlopiù  la voce indiretta è costituita dal numero ‘tre’ (o ‘sei’), la parola che indica i movimenti ciclici degli astri Sole Luna, oppure dalle apposizioni APAC/ATIC (e padre e madre) o  da espressioni allusive, frequenti,  come ‘ volanti  silenziosi’. 
11. Anche questa è una convenzione ‘geometrica’ per indicare, con il disco della luce, la luminosità sia del padre sole che della madre luna e cioè Tin/Uni. E’ inutile dire che il cerchio e il disco  anche nel nuragico godono della stessa identica convenzione. Talvolta detta convenzione è variata con il numero 12 , allusivo alla luminosità annuale sia solare che lunare.
12. La delicata collanina chiaramente 'stride' in quel collo vigoroso. Si tenga presente che nel metagrafico sia nuragico che etrusco ogni ‘segno’ anche se in apparenza irrilevante concorre a dare senso. Non c’è niente o quasi niente che sia disegnato gratuitamente senza che sia contemporaneamente scrittura. Per rendersi conto di ciò basta fare delle controprove e prendere a caso oggetti simili a quelli etruschi (o nuragici) di culture (ad esempio quella romana) che non contemplano (almeno da quanto si capisce) mai l’uso del metagrafico.  
13. E’ questo il modo di scrivere e leggere i documenti etruschi, all’apparenza  solo epigrafici. Si consideri ad esempio il notissimo disco (luce, serpente luminoso o solare) di Magliano che ha un andamento di lettura dall’esterno verso l’interno.  
14. E’ uno degli aspetti più stupefacenti del nuragico (di ispirazione scrittoria egiziana) trasmesso agli etruschi. Si veda Sanna G., 2016, I Geroglifici dei Giganti. Introduzione allo studio della scrittura nuragica, PTM ed. Mogoro, 5. pp. 111 -131.
15. Il sito di Santo Stefano di Oschiri contiene, nei pressi della chiesetta campestre omonima, una composizione scritta monumentale in pietra dove tutti i significanti, numerali e geometrici (croci, cerchi, quadrati, triangoli, ecc.), sono in funzione fonetico - lessicale - sintattica e linguistica (secondo le stesse continue convenzioni del codice nuragico metagrafico),  per inneggiare alla magnificenza e alla potenza luminosa della divinità androgina taurina. 
16. La scogliera di San Giovanni del Sinis (Tharros), presso la notissima spiaggia cabrarese per la balneazione, contiene numerose scritte in mix (sardo - romane: v. fig. 5)  che sono state messe in luce in seguito alle terrificanti mareggiate di questi anni. Scritte, addirittura, con i glifi egiziani e con ‘cartigli’  tipici di alcune iscrizioni di Edom (Timna) nella penisola del  Sinai.
17. Sono detti ‘piattelli’  perché, in genere, hanno piccole dimensioni, 13/ 15 cm di diametro e 5/6 cm di altezza. Ovviamente  il dato contribuisce ad attestare con forza maggiore l'uso cerimoniale e funerario e non strumentale dei singolari manufatti.

7 commenti:

  1. Caro Gigi, come vedi, gli amici del blog sono simili a quei pesci di settembre col mare placido: vedono l'esca da lontano e sono ben pasciuti dalle spiegazioni abbondanti che hai fornito.
    Che dire?
    Lo sai che io sono più bravo a consumare che a pescare e i tre momenti per me non sono sorgi-alza-tramonta, ma pesca-cucina-consuma, con la possibilità che siano riferiti, come i primi, a momenti presenti nello stesso lasso di tempo, che si misura in ore del giorno.
    Per mio convincimento, i due piatti sono da considerarsi insieme per il fatto che i due polpi già bolliti sono suddivisi per tentacoli: 11 nel piatto di mamma/papà (TIN/UNI), 5 nel secondo piatto, a mio giudizio riservato per il/la figlio/a.
    Questo è semplice da capire perché il rebus sta nel comprendere come la prole consumasse il tempo intanto che il polpo cuoceva, usando le linee e i punti disposti nel piatto ben centrati come un passatempo o una tavola pitagorica.
    Sccm (è un siccome in semitico, ndr) però sono piatti trovati in una tomba, probabilmente possiedono un messaggio per la divinità: come si fa quando si manda un mazzo di rose a una signora, il messaggio insito nel colore dei fiori è completato da quanto scritto nel cartoncino, in modo da dissipare ogni dubbio non solamente sul perché, ma da chi sia giunto l'omaggio.
    Allora, TIN/UNI si vedono arrivare l'etrusco/a e vogliono farsi un'idea di chi diavolo/a si tratti.
    Per capirci, per fare un parallelo con l'attualità, la divinità è curiosa di capire se è arrivato Matteo o solamente Maria Elena, che d'Etruria vivono e forse muoiono.
    A guardare il primo piatto, probabilmente si farebbero l'idea che sia una Lei quella pervenuta, pur con qualche perplessità, dato che lo scriba/pittore/figolo era quanto più distante dal conterraneo espatriato in Gallia che i colli li allungava eccome!
    A guardare il secondo piatto, capiscono che il nuovo venuto è proprio a posto con l'esame di cultura religiosa. Come per noi bambini non etruschi era riservata la scuola di catechismo e l'esame finale prima di diventare soldati di Cristo, agli Etruschi veniva fatto l'esame alla fine di ogni ciclo vitale, per capire se ne avessero meritato un altro.
    A mio parere l'esame è andato bene, in considerazione di tutti quei 3, ripetuti 4 volte, la cui somma fa 7, ma c'è pure un 5 col quale si arriva a 12, ...
    Insomma, sono eventi alla portata di tutti, posto che si sappia contare, sommare e dividere entro il 20.

    A proposito, anzi molto a sproposito, sono curioso di vedere che tipo di piatto ci presenteranno Matteo e Maria Elena nel momento che chiederanno l'accesso a un nuovo ciclo vitale.
    Visto che sono in due, magari UNIti/T'IN... proporrà loro un biciclo.
    Chi vivrà, vedrà. Magari senza capirci nulla, come me con i piatti da sarcofago.

    RispondiElimina
  2. Immoi giai! M'asi allirghittau su coru cun s'ermeneutica cosa tua, ca is amigus funti is amigus. Mancai castiant ma... po fueddai, mabagrabiu! Ma podit essi puru ca non pappant, ca tenint sa gorgoena mobadia e oint dromì sceti. In totu cuss'acqua frida di oi tocat a si ghettai a fundu deghinou s'arromadiant una di e s'atra puru. Apu cumprendiu chi tui sesi pighendi a cu fintzas a Deus, tiat a essi a su santu tresi chi pois est su santu doxi. Su santu mascufemina non di oit de faulas, ca tui non est berus chi 'piscas, coxinas e pappas' ma sceti 'pappas, pappas, pappas'. Si piscas cancuna 'ota est po su fattu chi seu deu chi piscu cun tui chi, frimu e cidrinu, fais sa martininca a is pedras nieddas de sa Frasca. Pensendi a su corpettu de cussa bella filla de mamma (BGS in sardu semiticu) e mancai arroghendumì sa barca in dus o tre cantus. Po su chi naras de Matteu e Maria Elena, lassamiddus in paxi ca immoi is etruscus funti tottu brava genti e benint fintzas in Sardigna po si carignai sa conca e po si basai a trempas e in bucca giaighì anti cumprendiu chi funti fradis nostus de s'antigoriu. Deu seu pentzendi a di arregallai unu pratu a s'unu e a s'atra candu intrant a domu. De cussus prattus cun dus pilloneddus bellixeddus chi is archeologus sardus nant decorativus candu fintzas tziu Srabadoi, su prus ignoranti in bidda, scidiat ca funti is Diosus etruscus mascufemmina, babbay e mammay mannus, mallorus giangallonis, luxi de su soli e de sa luna. Immoi d'accabu: conta, canta e pappa ca ti passat. Ca Su mascufemmina t'at fattu po custu. Antzis, po contai sesi su primu primu. Du scint totus totus.

    P.S. (apustis scrittu): non apu cumprendiu una cosittedda pitichedda pitichedda. Chini esti su chi 'allonghiada su tzugu' e chi si fut fuiu in Gallia?

    RispondiElimina
    Risposte
    1. In Franza ddi zerriànta Mo-dì- perché -gli-ani non sono non sono glamour!
      Ma no est chi ddi praxìant is modellas a zugu longu, est ca sballiàda anca disenniai is nadias e, po no fai sprecu de sa tela, tiràt su zugu a is piccioccas, comenti faiant a primu cun is caboniscus.

      M'has offendiu, porcaboia: primu mi zerrias "Cumandanti", fais finzas biri is rittratus in barca cun su timoni in manus, e immoi mi naras chi attumbu peus de Schettinu! E si no piscu. nara assumancu chi scùiu anca gettai sa reza.
      Cumente nai: seu o no seu sa menti in sa cumpangia? Su brazzu, una borta tantu, ses tui!

      Cantu a Deus, heus fattu s'armistiziu: de candu dd'hapu nau chi Issu esistit vetti chi deu ddu pensu, Issu m'hat nau chi no mi pensat propriu. Aici seus, donniunu po contu suu, e si ghettaus calincuna oghiada a fura.

      Elimina
  3. Signor Francu,come faccio a non complimentarmi con lei per come scrive e per la sua ironia anche
    con argomenti così seri ed importanti?Poi quando nomina i miei due "amori" Matteo ed Elena,vado ancor di più,in brodo di giuggiole.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Signora Grazia, è Gigi che ci vede meglio e guarda più lontano (anche indietro, eh!) di noi: Matteo e Maria Elena, non saranno una sola carne, ma una sola mente unica sì.
      Vorrei avere la mano di Tabacco per confezionare un piatto come dice Gigi.
      Quello sì che sarebbe un regalino!

      Elimina
  4. SCCM, BGS, BTN, BN TRJ, CN H MMM T, e così seguendo in semitico artistico, ...
    Ma, o Gigi, non è che in Canaan parlassero a fogu aintru?

    RispondiElimina
  5. Podit essi puru! Ma torraus a is prattixeddus etruscus ca innoi si ligint in totu su mundu. E non tenint ancora sa tradutzioni pronta pronta in inglesu dae su sardu.

    RispondiElimina