giovedì 23 novembre 2017

Quando si scriveva in nuragico in quel di Giorrè...

                  

 
 di Sandro Angei
fotografie di Stefano Sanna

  Giorrè è il nome di un vasto altipiano tra Florinas e Cargeghe nel sassarese. Nel punto di massima elevazione (570 m slm), si trovano i resti di un santuario nuragico.
   L'archeologa Angela Antona studiò il sito e lo pubblicò in Bollettino di Archeologia 46-48, 1997, intitolandolo “Il santuario di Giorrè, Florinas-Sassari”.
***

   Ci siamo recati a Giorrè per visitare il sito nuragico e renderci conto della situazione dei luoghi. Vi troviamo un sito completamente abbandonato e distrutto, del quale si può solo immaginare, attraverso i pochi resti rimasti in situ e quelli attorno sparpagliati, lo splendore della rotonda, finemente realizzata in tecnica isodoma, posta vicino ad un secondo edificio di forma rettangolare. L'edificio circolare è un inno al toro divino solare, con quei conci a T che formano  il muro a doppio paramento e quella che sembra una piccola vasca di pianta taurina posta quasi al centro della stessa rotonda. L’archeologa non menziona per niente il pozzetto, a meno che non lo intenda quale risultato della distruzione operata dai tombaroli (vedi articolo A. Antona).


Immagine tratta da Bollettino di archeologia 46-48 1997 - A. Antona - Il Santuario di Giorrè – Florinas
 

I conci a T delimitanti la rotonda - foto Stafano Sanna



Particolare di un concio del paramento esterno – foto Stefano Sanna


Altri conci disseminati attorno alla rotonda – foto Stefano Sanna


Quel che rimane della rotonda col pozzetto al centro – foto Stefano Sanna


La canaletta che testimonia la presenza di un rito legato al culto dell’acqua
foto Stefano Sanna

   Notiamo il grado di distruzione del fabbricato ma non riusciamo a vedere quelli che, secondo A. Antona, sono i segni di un brutale intervento con mezzi meccanici. Se ci fosse stato un intervento di tal genere, avremmo trovato i segni caratteristici di una ruspa o degli scalpelli del cucchiaio di un escavatore. Ci pare inverosimile che un  pesante mezzo meccanico non lasci alcun segno evidente sul pavimento della struttura, né su alcuna faccia di conci isodomi e/o poliedrici divelti.
   Ai nostri occhi la devastazione fu dettata da una terribile furia iconoclasta, simile a quella operata a Monte Prama, chissà quando e chi sa da chi.
   Che in vicinanza del sito archeologico ci siano stati degli interventi massicci di conquista di terreni all'uso agricolo, questo è indubbio, documentato com'è dalle ortofoto della Regione Sardegna, dove si riscontra la scomparsa dopo il 1978 di un notevole numero di “muridinas”[1].

   Forse in seguito a questa azione si è desunto che anche il monumento sia stato oggetto di “spietramento”. La Dott. Antona nella descrizione dell'edificio “C” scrive “I pochi resti murari più sopra descritti e l'asportazione del materiale da costruzione, di cui si sono avute imprecise notizie orali, non consentono alcuna supposizione sulla entità dell'alzato...” (mio il sottolineato - ndr).
   Ci siamo soffermati su questo aspetto solo perché nei vari blog e articoli correlati al sito di Giorrè, si rimarca l'azione devastatrice ad opera di tombaroli, che però, guarda il caso, si sarebbero lasciati sfuggire una statuina bronzea con maschera d'argento, di grande pregio (il cosiddetto Hermes) e una manciata di monete databili tra il 375 – 325 a.C., tra le quali una sicuramente Sarda databile al 216 a.C. (toro con astro).[2]

    Naturalmente noi ci siamo recati a Giorrè per motivi molto particolari, che riguardano uno studio a più ampio respiro che sarà pubblicato in questo blog nel prossimo futuro. Volevamo verificare coi nostri occhi la presenza di tracce evidenti di un qualche rito legato all'acqua e al sole; e in quale contesto ambientale questo potesse inquadrarsi. Che ci fosse un culto dell'acqua lo aveva già notato la Dott. Antona, dal momento che descrive “...un concio di calcare, ad arco di cerchio, di sezione trapezoidale, caratterizzato dalla presenza, per tutta la sua lunghezza, di una canaletta idonea allo scorrimento di liquidi”; per tanto la nostra verifica era rivolta, per quanto possibile, all'orientamento geografico dei due monumenti, la qual cosa ci sembra sia  riuscita, avendo notato una sequenza di allineamenti rivolti nella medesima direzione:
-         Abbiamo verificato che la linea che unisce il centro della rotonda “A” con la mezzeria del lato corto (quello che delimitava la posizione della parete rivolta ad ovest) dell'edificio “C” è orientato con un azimut di circa 269° (Fig. 1).
-         Così pure è orientato il pozzetto posto nelle vicinanze del centro geometrico della rotonda; pozzetto di forma “taurina” (Fig.2)[3].


Fig.1- immagine tratta da Google Earth e successivamente elaborata


Fig.2 – foto Stefano Sanna

Tale direzione, come si evince dalla simulazione effettuata con Google Heart (Fig. 3), è orientata in modo preciso al tramonto del sole agli equinozi; nel momento in cui il bordo inferiore dell’astro si accinge a posarsi sulla linea di orizzonte locale (alt. 0°16’) attimo in cui la sua immagine è osservabile ad occhio nudo.

Fig.3
l'immagine mostra il tramonto il giorno degli equinozi. il tratto rosso individua la direzione azimutale di 269°

   La Dott. Antona ci fornisce importanti notizie relative all’edificio “C”. Nel pavimento furono identificate tracce di  cenere e chiazze dovute ad annerimento da fuoco, la qual cosa fa pensare a riti legati alla sfera del sacro. Se accostiamo questo dato all’orientamento dell’edificio, si potrebbe supporre che questo fosse almeno aperto sui lati corti del suo perimetro, per consentire la visione del sole calante dal punto di vista della rotonda (Fig.4).

Fig.4 – ipotetica ricostruzione


   Durante l’elaborazione grafica del sito, abbiamo verificato un certo grado di affinità del recinto di forma ellittica che circonda il santuario, con la corrispondente figura geometrica (Fig. 5), come evidenzia pure la Dott. Antona, che scrive: “Il complesso principale è rappresentato da un recinto pressoché ellissoidale…”; poi così continua: “La muratura del recinto, costituita da blocchi calcarei poliedrici, di diverse dimensioni, in parte sbozzati, ma per lo più usati nella loro conformazione naturale, presenta un andamento sinuoso” (mio il sottolineato). Come vedremo in un prossimo articolo, il recinto ha forma propriamente “ovale”, ossia la forma geometrica costruibile con l’ausilio di archi di cerchio.

Fig.5
   Qui ci basti l’accostamento per evidenziare l’andamento sinuoso di una linea chiusa che rimanda inevitabilmente alla figura del serpente (uroboro?). Non è certo inverosimile l’ipotesi, tenuto conto delle tantissime attestazioni che vedono la figura del serpente quale logogramma che sta ad indicare ciclicità, immortalità, rigenerazione associato all’idea della luce[4], in un sito che vede protagonista, l’acqua e il toro (e per tanto la luce),  in un contesto funerario che probabilmente accerchiava il santuario in un arco compreso tra 120° e 340° azimutali (vedi Fig.9 linee azzurre), composto da 3 tombe a prospetto architettonico rivolte verso Est e una miriade di muridinas (tumuli?) sparsi per un raggio di 900 m dal santuario. Muridinas composte da cumuli di pietra calcarea mediamente di piccola pezzatura assieme a minutissima pezzatura, in un territorio ancora abbondantemente cosparso di pietre tutt’attorno (Fig. 6, 7, 8).


Fig.6



Fig.7


Fig.8 – si noti la dimensione dei ciottoli rispetto alla moneta da 0.50 €

   Il contesto funerario fu evidenziato già dalla Dott. Antona.
   Per quanto ci riguarda, riteniamo che a quel contesto funerario, siano da attribuire le numerose “muridinas”, che per quanto da noi ipotizzato (vedi nota (1), potrebbero essere luoghi di sepoltura della gente comune.

Fig.9 - Le aree 1 e 2 vedevano la presenza di numerose muridinas, oggi inesistenti. Le aree 3, 4, 5, 6 recano ancora numerose muridinas

 In questo contesto risulta del tutto evidente il significato antropologico che lega il santuario visto sotto l'aspetto astronomico e i luoghi di sepoltura nel quale esso è inserito.
   Questa lunga premessa si ritiene necessaria alla presentazione di un eccezionale reperto trovato nel 2015 in località  Giorrè da Paolo Lombardi. Il reperto che qui studieremo trova la sua colocazione tenendo ben presente il contesto nel quale esso fu rinvenuto.
   In seguito agli scavi e lo studio dell’archeologa A. Antona e il ritrovamento del concio recante inciso in basso rilievo il pugnale con elsa gammata, fu emanato il Decreto n° 153 del 30/06/2016 del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo; col quale la Commissione regionale per il patrimonio culturale della Sardegna  ha riconosciuto il complesso archeologico di Giorrè di particolare interesse archeologico.[5] Al decreto è allegata la  “Relazione sulle ragioni che impongono la tutela diretta del complesso archeologico di Giorrè in Comune di Florinas”.
    Dalla relazione si evince che:
-       l'insediamento si sviluppa a partire dell'inizio del Bronzo Medio;
-       l'area sacra comprende un recinto ellissoidale, entro il quale è stata individuata una struttura circolare realizzata con conci in calcare e basalto perfettamente squadrati e lavorati...
-       tra i materiali venuti in luce con lo scavo sono presenti modelli di nuraghe...
-       … una eccezionale scultura in bronzo con una maschera in argento dorato, databile alla seconda metà del II secolo a.C. e identificata con il dio Hermes-Mercurio.
-    “...tra i blocchi lavorati pertinenti alla struttura, presenti in numerosi cumuli, è stato recuperato un concio lavorato, nel quale è scolpita a bassorilievo la sagoma di un pugnale ad elsa gammata e di un'altra arma o strumento, con il margine inferiore a punta e quello superiore conformato ad “U”. (mio il grassetto sottolineato - ndr) Si tratta al momento di un unicum, in quanto non si conoscono altre rappresentazioni di pugnali ad elsa gammata in pietra.”
 (tratto dalla relazione allegata al decreto - ndr).
***
   Sul web abbiamo trovato alcune fotografie che testimoniano il ritrovamento nel 2015 del “concio”[6] ad opera di Paolo Lombardi, appassionato di archeologia, che prontamente ne diede notizia agli enti preposti alla salvaguardia, che in seguito emanarono  il citato decreto.

Clicca qui per vedere ➽ IL CONCIO[7]
Fig. 10


Fig. 11 restituzione grafica

   Guardando la fotografia di Fig.10, linkata in "il concio" (della quale l'immagine di Fig. 11 è una rappresentazione per grandi linee), il reperto più che un “concio” sembra un betile (casa del dio) con l'usuale forma fallica con tanto di glande. Nella parte bassa dell'oggetto lapideo, in posizione centrale, è ricavato in bassorilievo il pugnale con elsa gammata e alla sinistra di esso è posizionato quello che a noi sembra un segno di scrittura, dato che la “altra arma o strumento, con il margine inferiore a punta e quello superiore conformato ad U” altro non sembra (anche dalla descrizione) se non uno yod. Sulla destra del pugnale gammato non sembra esserci alcun particolare di rilievo (Fig.12).

Clicca qui per vedere ➽ IL PUGNALE CON ELSA GAMMATA
Fig. 12

   Da questo esame abbiamo estrapolato che:
-       il reperto è un betile; e ciò non dovrebbe destare stupore alcuno, visto che nel sito furono ritrovati altri esemplari di betili in forma di modello di nuraghe;
-       è presente un segno di scrittura lineare: yod cosiddetto "a forcella";
-       è presente il segno logografico  del “pugnaletto gammato”, oramai attestato in numerosi contesti scrittori oltre a quello presente: la barchetta di Teti, l'anfora di S'arcu 'e is forros, il doppiere di Santa Maria di Tergu, l'askos di nuraghe Piscu di Suelli [8].



   Null'altro ci pare di dover aggiungere se non la nostra interpretazione, ovviamente del tutto provvisoria  e personale.
Leggiamo:
-       innanzi tutto il supporto fallico = potenza
-       la lettera lineare yod acronimo del nome divino yhw.
-       il logogramma pugnaletto gammato che restituisce la ormai nota formula: toro divino che da la vita [9].

   In ragione di ciò possiamo avanzare l'ipotesi che il reperto rechi la formula sacra:
Potenza di y(hw), toro divino che da la vita.


Note e riferimenti bibliografici: 


[1] Al proposito vedi S. Angei – Pietra su pietra 1° parte e seguenti su Maymoni blog.“

[2] In “Bollettino di Archeologia 46-48, 1997”, a pag. 4 – Il tempio A o la rotonda leggiamo la Antona scrive: “Un gigantesco cumulo costituito da lastre trapezoidali del pavimento, blocchi pregevolmente lavorati della muratura isodoma, pietrame e terra argillosa, copriva i resti della struttura, e si estendeva verso la parte nord dell’area, in una massa confusa di materiali risultanti anche dalla distruzione della capanna “B”.
   Più avanti scrive a proposito del presunto saccheggio: “Tale persuasione è sostenuta dal ritrovamento, al’interno di quest’ultimo (la Rotonda, ndr), di un reperto eccezionale. E’ infatti sfuggita all’attenzione dei saccheggiatori una statuetta di bronzo con maschera d’argento…”.
   A pag. 11 leggiamo il contributo di Rubens D’Oriano “La statuetta di bronzo con maschera d’argento”, che recita: “Dallo scavo del monumento sopra illustrato nel contributo di A. Antona proviene, purtroppo, dalla terra rimossa prima dello scavo archeologico e quindi fuori contesto, una statuetta di bronzo con maschera d’argento”.
   In queste affermazioni rileviamo una certa incongruenza tra la situazione trovata dagli archeologi (un gigantesco cumulo di detriti), e le azioni del tombarolo che col mezzo meccanico prima devasta il monumento, dopo lo ricopre di detriti, avendo la massima cura e precisione nell’uso del pesante mezzo meccanico, per non scalfire alcun reperto. Ci sembra davvero inverosimile.

[3] L'archeologa A. Antona in nessun momento prende in considerazione il manufatto, che a parer nostro è parte del rito che si svolgeva nella rotonda.

[4] Basti pensare al piccolo amuleto di Santa Caterina recante il serpentello con dodici seni. S. Angei - Il serpentello dell'immortalità di YH. Come leggere la 'decorazione' di una bellissima 'fusaiola' nuragica su: http://maimoniblog.blogspot.it/2017/01/il-serpentello-dellimmortalita-di-yh.html

[5] All'indirizzo: http://www.sardegna.beniculturali.it/index.php?it/313/beni-dichiarati-di-interesse-culturale si può visionare il decreto e gli allegati.

[7] Non è stato possibile ottenere le necessarie autorizzazioni all'uso delle fotografie da parte del proprietario: "NEROARGENTO"; ciò non di meno è possibile visionarle nel sito web omonimo.

[8] Vedi G.Sanna - 2004 - Sardôa Grammata - S'Alvure Editore pag. 189-196
http://monteprama.blogspot.it/2014/12/la-barchetta-nuragica-iscritta-di-teti.html
http://gianfrancopintore.blogspot.it/2012/09/i-filistei-smemorati.html
G. Lilliu - 2008 - Sculture della Sardegna nuragica - Ilisso Editore - pagg. 460, 461.
V. Santoni - 2012 - I NURAGICI, I FENICI E GLI ALTRI - C. Delfino Editore - pag. 93.

[9] Si veda: http://maimoniblog.blogspot.it/2015/09/yhwh-in-pittografia-gerusalemme-versus.html
Inoltre:  Tzricotu A3 con l'agglutinamento e i tre segni che rendono l'espressione YHWH HY 'ERWH (perfezione di Yhwh sesso che dà la vita). V. Sanna G., 2012,  Così era la religione nuragica. Yahw hey 'erwah  יהוה הי ערוה: Yhw il sesso che dà la vita (Tzric. tav. A3); Yahw wahaben יהוה והבן: Yhw e il figlio ( Tzric. tav. A5);.in gianfrancopintore blogspot.com ( 24 febbraio).

appendice
da: G. Lilliu in “Sculture della Sardegna nuragica” Ilisso Ed. a pag. 371

29 commenti:

  1. Bel lavoro e belle fotografie. Certo quelle 'murighinas' danno da riflettere in un luogo così sacro e in quel particolare 'altipiano' (con accanto una serie di tombe neolitiche). Quel sito nuragico presenta subito due fondamentale simbologie, forse quelle più 'forti' di tutta la civiltà nuragica: il disco della luce del tempietto e quell'ostentata iterazione di conci taurini o a T. Il toro e la luce: Nur 'ak (voce tanto ripetuta in epigrafico e in metagrafico). Anch'io penso ad un culto e ad un rito dell'acqua. L'acqua, come nei pozzi sacri, è strettamente collegata all'idea del sole toro e alla sua energia creatrice (acqua = sperma). Quindi sarei portato a collegare l'architettura del sito al pozzo sacro (si pensi al Santa Cristina con tutte le identiche simbologie, anche astrali. Qui il pozzo non c'è ma c'è il pozzetto che, orientato perfettamente com'è, ha a che fare, direi, con l'acqua dell'equinozio primaverile. Un bellissimo monumento dunque, sotto tutti gli aspetti. E belle informazioni, pertinenti e utilissime, dell'Antona anche se mi sembra non arrivare alla comprensione della valenza del pozzetto. Quanto alla scritta. E' fenomenale. Due lettere assai pregnante in un supporto che anch'io ritengo fallico -betilico. Difficilmente infatti la divinità Y(hwh), toro celeste datore di vita (l'interpretazione acrofonica della lettera a forcella mi sembra corretta), poteva essere priva del segno forte, ovvero il betilo, simbolo massimo caratterizzante sempre. Il serpente? Non so. Il sito è molto sconvolto. Ma non è azzardato l'ipotizzarlo in quella presunta ellisse. Ma toro e serpente (immortalità) sono strettamente collegati nella civiltà dei nuraghi. Bravo, bravi davvero!

    RispondiElimina
  2. Professore, mi convinco sempre di più del fatto che quando le strade intraprese sono quelle giuste, i risultati puntualmente arrivano. Siamo arrivati a Giorrè, Stefano ed io, cercando muridinas, allo scopo di valutarne le caratteristiche salienti; sicuri di trovare conferme nella visita di una quantità significativa di siti dove essere sono presenti. In questo contesto, mi sono fatto una idea della funzione di questi cumuli di pietre: posizione plano-altimetrica nel territorio, presenza di corsi d'acqua o addirittura: origine di corsi d'acqua; orientamenti astronomici e costruzione sistematica di opere tracciate con metodo geometrico, vicinanza ad altre strutture funerarie e/o rituali o comunque attinenti l'ambito religioso. Circoscrizione, evidentissima, della popolazione di muridinas in una ristretta porzione di territorio.
    Questo commento sembrerebbe fuori tema rispetto a questo articolo; ma la visita a Giorrè fu dettata proprio dalla necessità di una verifica: presenza o meno del culto dell'acqua e la presenza o meno di peculiari orientamenti astronomici. Dopo di che il santuario di Giorrè ha preso il sopravvento ed è nato questo articolo.

    RispondiElimina
  3. Due domande.
    Prima. Pensi che, stante la notevole presenza di conci sparsi qui e là quel tempietto possa essere ricostruito quasi del tutto?
    seconda: secondo te era coperto o no? Secondo me no. La circolarità dell'occhio solare sarebbe stata menomata architettonicamente da una qualsiasi copertura. D'altronde l'orientamento all'equinozio primaverile fa pensare che non solo il vano rettangolare ma anche questo circolare dovevano avere vista libera.

    RispondiElimina
  4. Bella domanda... I conci a T che abbiamo trovato sparsi per tutta l'area sono tanti: alcune decine, ma basterebbero a ricostruire il cerchio di base a doppio paramento, non di più.
    Per quanto riguarda la seconda domanda: la rotonda poteva pure essere coperta, presupponendo naturalmente l'ingresso da ovest.
    Anche per il tempietto rettangolare la copertura non avrebbe pregiudicato l'osservazione al tramonto del sole il giorno dell'equinozio. Sarebbe stato però importante che fosse aperto il perimetro in corrispondenza dei lati Est ed Ovest. Infatti, benché l'asse maggiore del tempietto sia fuori orientamento (azimut circa 264°), se ipotizziamo che il muro esposto a sud fosse parete piena, una persona posta al centro della rotonda avrebbe visto comparire il sole ad un azimut di circa 264° ad un'altezza all'orizzonte di circa 7°; posizione per la quale era sufficiente un'altezza libera di 2,50 supponendo l'altezza dell'osservatore pari a 1,60 m.
    Inoltre, il “disorientamento” del tempietto molto probabilmente non è dovuto al caso; se nota, l'asse maggiore del tempietto ha un angolo di circa 264°, che guarda caso corrisponde all'azimut per il quale il sole si rende visibile all'interno del tempietto rettangolare. In sostanza il prolungamento della parete interna del muro sud del tempietto passa per il centro della rotonda.
    Se fosse solo un caso sarebbe un bel terno al lotto!
    Questa caratteristica verrà spiegata in modo più dettagliato e con figure esplicative in un prossimo lavoro.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Solo ora mi accorgo di aver scritto "un'altezza libera di 2.50 m" anziché "3.50 m"

      Elimina
  5. Caro Sandro, vedo che le muridinas ci stanno portando lontano.
    E dico ci, me compreso, perché istintivamente ed emozionalmente ti seguo e, solo qualche volta, ti precedo.
    Siccome però dubito fortemente di me, è chiaro che qualche titubanza la riservi anche a te.
    Arriveremo a dire che la nuragica fu una iviltà di Torri, di pozzi e di muridinas?
    cento pozzi, mille torri e centomila muridinas?
    Se così fosse, dal punto di vista lessicale, introdurremo un lemma sardo mella lingua mondiale della scienza: muridina.
    E se dovesse accadere, suppongo che il termine muridina verrà studiato e approfondito, anche perché Bssenti Porru, e di conseguenza Wagner, pare non l'avesse mai sentito.
    Resta sempre il fatto che la radice MU o anche MUU è indiscutibilmente di origine bovina e, conseguentemente, sacra.
    Più oltre non vado: non mi manca la voglia, ma la scienza.
    Complimenti a te e a Stefano. Stupiteci ancora.

    RispondiElimina
  6. Quando Franco scherza così vuol dire che le cose si fanno molto serie. Anche troppo. E' l'arte di sdrammatizzare con ironia una situazione incredibile, troppo bella per essere vera. Anch'io dico MUU. Mi accodo. Bovinamente.

    RispondiElimina
  7. Ciao Sandro, mi piacerebbe saperti, venerdì, a questo convegno:
    http://www.sassarinotizie.com/mobile/articolo.aspx?id=43374
    Per parte mia cercherò di non perdere, giovedì, quest’altro:
    http://www.sardiniapost.it/culture/archeologia-misteri-del-pugnale-nuragico-giovedi-convegno-sassari/
    Forse potrò recarmici con il libro che sai, che sarebbe allora giusto fresco di stampa e che mi piacerebbe porgere proprio in quest’occasione all’attenzione di un paio dei presenti.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Sandro scusami, ti avevo indirizzato a un articolo relativo al convegno internazionale di archeoastronomia edizione 2016, meglio seguire quest’altro indirizzo ;-)
      https://satsardegna.org/it/notizie-ed-eventi/la-misura-del-tempo-2017

      Elimina
    2. Ciao Francesco, di certo, se davo retta al primo indirizzo senza leggere l'anno, mi sarei fiondato puntualissimo a Sassari con 15 giorni di ritardo; ma siccome...
      è molto probabile che venerdì sia lì a sentire e vedere.

      Elimina
  8. "nel corso dell'incontro verranno proposte due nuove attestazioni iconografiche: il concio da Giorrè e la barchetta fittile da Teti." C'è un pugnaletto a elsa gammata sulla navicella fittile di Teti? ma no! :) dopo 8 anni se ne discute (nuova attestazione?-anche se ancora non si è vista nessuna pubblicazione. Sicuramente, come viene sostenuto da chi a spada tratta afferma che quel manufatto non ha alcuna importanza, verrà fuori che è una deformazione avvenuta durante il raffreddamento. Sì, ci è toccato leggere anche questa invenzione di sana pianta: perchè quel pugnaletto è impresso a crudo, col chiaro significato di grafema tra altri grafemi. Non c'è verso di farlo passare per un segno uscito fuori per caso, magari causato dai chiodi del sacco o fatto come un gioco dagli operai di scavo o in epoca romana o medievale successiva alla data della barchetta. E neppure è un segno fenicio. Adesso sarei curiosa di capire come verrà giustificata la sua presenza su un manufatto nuragico, accanto a segni alfabetici.
    Perchè ve lo dico chiaramente: la probabilità che venga anche solo ipotizzato che sia un "geroglifico" o un "grafema" con qualche significato è vicina a zero. Se possibile sarebbe negativa.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Ci potrei scommettere un kg di papassinas verso un chilo di anolini parmigiani. Però poi me le mandate se vinco eh?!

      Elimina
    2. Prepara le papassine! vedrai che quel pugnaletto verrà addomesticato come Furia cavallo del West

      Elimina
    3. Il terreno è stato ben preparato da 12 interviste con 10 domande uguali a altrettanti archeologi: 12 su 12 hanno tenuto a precisare, tutti, senza neppure uno spiraglio, che i nuragici non conoscevano la scrittura. Uno ha anche detto che pur essendo in contatto stretto con popoli che la usavano, i nuragici la snobbavano; perchè a loro non "serviva". Perfino l'archeologa che nel 2013 disse al TG1 queste parole "La presenza di una scrittura nuragica" nel 2017 ha detto che non esiste proprio. del resto le parole volant, lo sappiamo bene. E finora la barchetta ha avuto pubblicazioni zero.

      Elimina
    4. I Sardi nuragici non scrivevano... neanche loro a quanto pare!

      Elimina
  9. vorrei ricordare una pubblicazione nel blog di AbaLosi e Romina Saderidove veniva pubblicata una foto di un documento egizio del Sinai datato 1860 a.c. con il pugnaletto inserito insieme ad altri geroglifici. complimenti a Sandro Angei e a Stefano Sanna

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Alla fine-scorrendo la bibliografia- stabilimmo che quel segno veniva letto dagli egittologi come una variante grafica del geroglifico U23, "scalpello"; si legge MR o 'ab. Non era un pugnaletto, anche se chissà, forse servì da ispirazione. Di certo però non è un segno del proto-sinaitico.

      Elimina
  10. La Canu, inoltre, ha lamentato che la sua Soprintendenza (Sassari e Nuoro) non abbia un bollettino online tramite il quale poter divulgare più rapidamente i risultati di scavi e rinvenimenti, com’è possibile invece a Cagliari. Anche qui il suo Soprintendente, di Gennaro, non ha mancato di rintuzzare: potrebbe essere utile (un bollettino online) per condividere le immagini dei reperti, non per mettere a correre interpretazioni senza i dovuti tempi di riflessione, tanto necessari a rivedere le bozze (come, è sembrato di capire, avrebbe fatto da poco proprio con l’articolo sulla navicella, finalmente prossimo alla pubblicazione; d’altronde resta strano abbia rivisto proprio il lavoro sulla navicella, dal momento che quando si è parlato della sua ormai determinata datazione ha opposto iniziale resistenza a considerarla accertata, per piegarsi poi, almeno in questo, alla convinzione con cui la Canu lo ribadiva).
    Ancora, può interessare che la restauratrice Eliana Natini abbia detto, a proposito del blocco di Giorrè, che nello spazio libero a destra (per chi guarda) del pugnale a elsa gammata, in considerazione dell’asimmetria altrimenti della rappresentazione sul blocco, crede potesse esservi un’altra rappresentazione, che le sembra (per quanto poco) di intuire. Ma non si è sbilanciata oltre.
    Si è ricordato che nell’altare di Su Mulinu vi sono 4 else (dovevano esservi montate delle lame). Quindi pugnali per i sacrifici in aree santuariali. La Fois ha ipotizzato che la cosiddetta forcella potesse essere in realtà un secondo pugnale, con manico diverso (forse con elsa a flabello fenestrata). Perciò, spingendomi a immaginare il non detto della Natini, magari tendono a ipotizzare si potesse trattare di una rappresentazione, tipo le (cosiddette) “faretrine”, con un trittico di strumenti per i sacrifici. Nel senso del rito sacrificale sono state collegate anche le rappresentazioni del modello di nuraghe di Cannevadosu (San Sperate) e dell’altare di Serra is Araus (San Vero Milis), quest’ultimo accostato al bronzetto di Serra Niedda (Sorso), quello dell’uomo che porta in offerta un quadrupede al sacrificio.

    RispondiElimina
  11. Ho eliminato un commento a risposta di uno cancellato e quindi per errore è stato eliminato anche questo (scusa Francesco!se vuoi rispostalo tu)

    Francesco Masia ha lasciato un nuovo commento sul tuo post "Quando si scriveva in nuragico in quel di Giorrè.....":

    Aba, come li vuoi i papassini? Vanno bene quelli di Osilo?
    Avevo scommesso sinceramente animato dalla convinzione non si potesse proprio negare che la navicella sia scritta, ed effettivamente le archeologhe relatrici, Nadia Canu e Antonella Fois, hanno osato concludere che di scrittura debba trattarsi. Ma il nostro Soprintendente, Francesco di Gennaro, sostanzialmente l’unico intervenuto (eccetto un caro amico di Oristano che ha sbottato contro il negare assurdamente dignità ai reperti nuragici e agli studi su centinaia di documenti sostenuti dal nostro Gigi Sanna; intervento naturalmente lasciato cadere), ha obiettato che la navicella, anche per le caratteristiche del fondo (a V e non piatto), non abbia riscontri nelle altre navicelle fittili nuragiche, e soprattutto (stento a riportarlo) si tratti di segni più probabilmente rappresentativi di oggetti, non quindi di grafemi (mentre sarebbero grafemi quelli sull’anfora di S’Arcu ‘e is Forros, ovviamente non sardi); ha raccomandato non si giunga a credere possano mischiarsi in un’iscrizione lettere alfabetiche e ideogrammi, o si rasenterebbe altrimenti la fantarcheologia.
    Quindi, come il sasso vince sulla forbice, le conclusioni del Soprintendente vincono su quelle delle (remissive?) archeologhe; e io ti devo certamente i papassini.
    Vorrei inviarteli insieme al libro sulla scrittura nuragica (distillato degli studi su questo blog e sui due precedenti) che oggi, nuovo nuovo, ho potuto donare alla dott.ssa Canu e al dott. di Gennaro; spero vi trovino motivi di riflessione verso qualche cambiamento. Al dott. di Gennaro, tra l’altro, dovevo chiedere fin da subito (e sarebbe stato un peccato perdere questa occasione) la disponibilità ad accettare i miei proventi dal libro (quelli spettanti a un esordiente, ma raddoppiati dall’editore) quale contributo al finanziamento di altre indagini scientifiche sui reperti analizzabili tra quelli in discussione: per quanto risulterebbe sorprendente (e quindi per quanto tu scommetteresti stavolta 50 Kg di anolini contro 1/2 kg di papassini), spero ci faccia su (leggendo) più d’un pensiero (sarà infantile pensarlo, come d’altronde è del gioco che la carta vinca il sasso).
    La dottoressa Canu ha detto che hanno provato a sottoporre la navicella per un’interpretazione a diversi studiosi, tra i quali la Prof.ssa M. Giulia Guzzo Amadasi; questa avrebbe sostenuto di non poter studiare il reperto perché non si tratterebbe di una scrittura di tipo semitico (non so se abbia parlato di reperto o di epigrafe, la Guzzo Amadasi, ma sembrerebbe comunque non aver negato, almeno lei, trattarsi di scrittura).

    RispondiElimina
  12. No, non mi sento di richiedere i papassini perché la mia è una vittoria a metà! e quello che mi dici è ben lungi dal deludermi. Perché la difesa della non-scrittura si basa su un preconcetto: “non si giunga a credere possano mischiarsi in un’iscrizione lettere alfabetiche e ideogrammi” è una affermazione priva di fondamento (e imprudente) e comunque fa una ammissione: e cioè che sulla navicella vi siano lettere alfabetiche; lettere alfabetiche che la semitista di fama mondiale Maria Giulia Amadasi non è in grado di leggere. Se incrociamo le informazioni alla fine non è affatto male: perché su un documento la parola di una epigrafista vince su quella di un archeologo, anche se è un capo.
    Brave Nadia Canu e Antonella Fois a difendere ciò che è sotto gli occhi di tutti: e cioè che la navicella è scritta, e scritta in modo tale che non si riesca a leggere nel “solito modo”.
    Quanto all’affermazione del soprintendente-lasciamo perdere il sistema logoconsonantico egiziano (che alla fine è un mix di logogrammi -che è vero non sono ideogrammi, ma come fa Di Gennaro ad affermare con certezza che quello sia un ideogramma e non un logogramma, e soprattutto che non si debba leggere?) dove logogrammi e segni mono-bi e triconsonantici convivono in modo del tutto naturale e armonico, la sua affermazione è smentita da almeno un documento, notissimo, e di epoca non antichissima: la brocca di Bethsaida con l’iscrizione Lehem, risalente al X-IX sec. a.C.
    ma ce ne seono anche di più recenti: come quelli di Khirbet el-Qom, di Kuntillet Ajrud, dell’ophel di Gerusalemme ( Garth Gilmour, An Iron Age II Pictorial Inscription from Jerusalem Illustrating Yahweh and Asherah, Palestine Exploration Quarterly, 141, 2 (2009), 87–103): sono tutte dell’età del Ferro, e nel 2016 sono state discusse in un libro: The Materiality of Power: Explorations in the Social History of Ancient Israelite Magic (Forschungen Zum Alten Testament) di Brian B Schmidt. C’è un intero capitolo che si intitola: Material aspects of early israeilite apotropaic magic: Integrating image, object epigraph and biblical tradition. Ma il documento che secondo me taglia la testa al toro è davvero la brocca di Bethsaida che gli epigrafisti leggono “LŠM +segno ad Ankh=Al nome del dio Luna” http://monteprama.blogspot.it/2014/01/al-nome-di.html

    RispondiElimina
  13. In merito del betilo di Giorrè, per il quale si ipotizza che quello che io ho interpretato come yod sia invece un'arma, come invece si legge nella relazione allegata alla richiesta di tutela, e ribadisce la Fois; potrei arrivare al ridicolo con l'affermare che così procedendo, potrebbe trattarsi pure di una stampella, come scrive G. Lilliu in “Sculture della Sardegna nuragica” Ilisso Ed. a pag. 371 mostrando e descrivendo un personaggio con stampella”. Sicuramente una stampella di seconda mano visto che non è della misura del nostro personaggio, superando, l'arnese, di gran lunga l'altezza della sua ascella. Una stampella con forca asimmetrica, simile al quella del reperto di Giorrè. Ho postato l'immagine in appendice dopo le note.

    RispondiElimina
  14. Alle sciocchezze e alle pure invenzioni dei testardi (alcuni anche in malafede) si risponde con delle prove. Solo con delle prove documentarie. Ci sono modi molto fantasiosi e anche fantarcheologici per respingerle ( e si è visto anche in questa circostanza) ma è fatica vana, sprecatissima, perché ai documenti si aggiungono documenti su documenti. Di nuragicissima scrittura nuragica. Come sempre, fra qualche giorno, farò il mio regalino epigrafico natalizio. Un bobò. Credete a me e gustatevelo. Felici e contenti, perché consapevoli che la storia della ricerca scientifica ha le sue scoperte costantemente mortificate da furibonde quanto scomposte negazioni. Un topos incredibilmente antipatico. Ma la scienza, soprattutto quella della scrittura, lo registra per ogni evento innovatore. Quanto alle dodici interviste e al terreno preparato è già un miracolo di civiltà. Pensavo che spuntassero altre duecentocinquanta firme di negazione! O magari cinquecento! Che squallore la scienza archeologica in Sardegna!

    RispondiElimina
  15. Comunque oggi in un testo di un grande storico sardo, soprattutto paleografo, si leggono le innovazioni e chi studia da quel testo sa dello yhwh del monoteismo sardo, sa della 'sicura' e 'accertata' scrittura. Sa che esistono tantissimi documenti scritti che non cessano di crescere. In questo modo la questione scrittura nuragica è stata ufficialmente sdoganata e se ne parlerà domani, dopodomani e per sempre. Per sempre capito? Mi ci gioco tre tonnellate di pabassinus e una di gueffus! Anche se la visione di quel 'sempre' per me è assai problematica. Questo fa rabbia e fa mobilitare, ma non ci si rende conto che è tutto un ridicolo dare pugni e calci all'aria. Tutto, ma proprio tutto, li sconfessa.

    RispondiElimina
  16. Francesco, sulla datazione del concio di Giorrè hanno detto qualcosa? per quanto ne so quel sito venne abbandonato dopo il Bronzo Finale/Primo ferro, per poi essere rioccupato in epoca romana.E non ci sono testimonianze fenicie o puniche

    RispondiElimina
  17. Per me quello vicino al pugnaletto è un segno a forcella-anche se non si vede bene. C'è la coppia forcella-pugnaletto come sul doppiere

    RispondiElimina
  18. Direi non sia stato detto nulla di preciso sulla datazione del concio.
    Non si è comunque avanzato il minimo dubbio sulla sua fattura nuragica. Si è detto che le prime tracce nell’insediamento risalgono alla cultura Sa Turricula (Bronzo Medio).
    La Fois più che una forcella interpreterebbe un pugnale per via del riconoscimento da cui muove di una lama (rilievo troppo piatto e sottile, trova). Certo immaginarvi sopra, come ha suggerito, un’elsa a flabello con impugnatura fenestrata (un esempio di questa impgnatura, forse unico, viene da Teti: si veda la fig. 22 a pag. 314 di “Corpora delle antichità della Sardegna Nuragica - Storia e materiali”, a cura di Alberto Moravetti, Elisabetta Alba e Lavinia Foddai, 2014; http://www.sardegnadigitallibrary.it/documenti/17_27_20161222154027.pdf), porterebbe a una netta sproporzione con il vicino pugnale a elsa gammata (questo non è stato sottolineato).
    Chi ha presentato le immagini elaborate attraverso complesse tecniche fotografiche (credo il Dott. Seddaiu, anche attraverso RTI, ReflectanceTransformation Imaging) ha avanzato possa intravedersi a sinistra in alto il prolungamento di una forcella, ma le relatrici non erano così convinte.
    Si è detto, inoltre, essere noto (lo direbbe la gente di Florinas?) che dal sito siano stati asportati nel tempo (negli scorsi decenni?) numerosi conci, probabilmente perché presentavano segni o raffigurazioni.

    RispondiElimina
  19. La potenza e quindi la frequenza del segno a forcella potrebbe essere dato dal fatto che la divinità nuragica è espressa sia con IL sia con YH (YHH, ecc., cioè sempre con la yod iniziale. Il segno acrofonico indicherebbe indifferentemente sia IL che YH. Come nel V.T.

    RispondiElimina