mercoledì 24 maggio 2017

ANCHE LA SCRITTURA ETRUSCA, COSI’ COME QUELLA NURAGICA, E’ A TUTTO CAMPO. COME UN AFFIBBIAGLIO PUO’ DIVENTARE UN INNO NASCOSTO ALLA DIVINITA’ CICLICA CELESTE E UNA ACCORATA INVOCAZIONE A TIN E A UNI.

di Gigi Sanna 
Fig. 1. Affibbiaglio etrusco da Cerveteri ( Londra, British Museum)
     Anche la scrittura etrusca, così come quella nuragica (1), era a ‘tutto campo’. Tutto ciò che era attinente al sacro era necessariamente scritto perché era proprio la scrittura indice massimo della sacralità, tanto più se nascosta agli occhi dei profani che potevano guardare  ma non vedere per l’incapacità dell’osservare. Questo vuol dire che monumenti e oggetti relativi alla ‘religio’ erano cosparsi di segni fonetici criptati e che spetta a noi saperli  individuare e connettere in una certa sintassi, quasi sempre formulare (poche e scarne formule), variata continuamente ma con senso identico o simile. Abbiamo visto, ad abundantiam (2), in che modo è organizzata e articolata questa scrittura che abbiamo chiamata metagrafica, composta dalla numerologia, dall’ideografia e dall’acrofonia.
    La scrittura, doverosamente criptata e a rebus con il metagrafico,  la mostrano anche gli oggetti rinvenuti nelle tombe sontuose (ugualmente scritte) delle necropoli delle grandi e potenti città etrusche e quelle dei territori campani finiti  sotto il dominio politico, economico, religioso e culturale degli etruschi (3). Anche stavolta si potrebbero fare numerosi esempi di amuleti, talvolta molto preziosi, ovvero di oggetti apotropaici collocati presso le urne e i sarcofaghi dei defunti. Ma pensiamo che possa essere bastevole, data anche la sua notevole chiarezza, l’antico affibbiaglio della tomba delle Cinque sedie di Cerveteri, gioiello  datato prima metà del secolo VIII a. C., oggi custodito presso il British Museum di Londra.
  Su di esso così commentano e dicono (4) Davide Locatelli e Fulvia Rossi: ‘L’affibbiaglio è costituito da due metà composte ciascuna da tre sbarrette scanalate terminanti in globetti conici decorati a granulazione secondo una tipologia nota soprattutto nell’Etruria meridionale e a Palestrina. La placchetta centrale della fibbia è ornata da quattro file di piccole sfingi accovacciate, decorate a granulazione. Sotto la placchetta è collocato un complesso sistema di chiusura. Il manufatto, realizzato in lamina d’argento dorato ribattuta, faceva parte del corredo rinvenuto nella tomba delle ‘Cinque sedie’. Nella stessa tomba, le note statue in pietra di antenati (5) sono abbigliate con mantelli fermati sulle spalle da affibbiagli della medesima tipologia’.
  Un commento molto sintetico e abbastanza preciso. Bisognerebbe però aggiungere ancora che nel manufatto c’è una evidente ‘opposizione’ figurativa: una data dalle tre sbarrette con i tre globetti, tre che vanno verso l’alto e tre che vanno verso il basso e l’altra dalle file di piccole sfingi in doppia fila e quattro di numero.
  Ma domandiamoci: che ci fa un oggetto così particolare per concezione (6), reiterato (ovviamente per il suo significato) nelle vesti della statue poste nei cinque sedili? Che ci fanno le piccole sfingi in così gran numero ma ordinate secondo un certo schema (v. fig. 2)  numerico - geometrico? Perché due file di quattro sfingi in opposizione? Perché ‘accovacciate?

      
 Fig.2 . Schema numerico - geometrico  delle piccole sfingi viste dall’alto     
       La risposta, ancora una volta (7) si ha  da una interpretazione  non solo basata sull’aspetto decorativo dell’affibbiaglio  e sulla sua ipotetica simbologia (8), ma anche e soprattutto da una lettura che tenga conto di tutti gli aspetti presenti nel manufatto.
Infatti,  leggendo l’affibbiaglio da destra versi sinistra, esso risulta composto:
  1. da tre sbarrette ricurve verso l’alto
  2. da tre globetti agglutinati (legati) alle tre sbarrette
  3. da due file di piccole sfingi accovacciate (distese) in numero di quattro ciascuna
  4. da altre due file di piccole sfingi accovacciate (distese) in numero di quattro contrapposte alle altre
  5. da tre sbarrette ricurve verso il basso
  6. da tre globetti agglutinati alle tre sbarrette.
     Il disegno è manifestamente oscuro e che lo sia lo scriba orafo sembra annunciarlo maliziosamente attraverso il soggetto scelto per la decorazione e cioè la sfinge, simbolo per antonomasia di ‘nascosto, criptico, enigmatico’. Ma lo annuncia anche attraverso la contrapposizione di esse, poste stranamente in file di quattro. Cosa vuol significare questo?
    Le sfingi fanno a noi questa domanda ed esigono una risposta che è data, come sempre, dalle famose tre, due e una gamba. Cioè da allusioni, stavolta  contenute, ovviamente,  nel disegno della spilla. Si nota subito che anche stavolta  c’è una certa numerologia ma non solo questa C'è dell'altro, un rebus molto più complesso di quello famosissimo della sfinge; del tutto insolubile  se, nel leggere e nel cercare di rispondere, uno è all’oscuro di certe convenzioni (9), quelle  che permettono una particolare scrittura fonetica dell’oggetto attraverso il procedimento numerologico, ideografico e  acrofonico.
   Vediamo di sciogliere innanzitutto il rebus acrofonico come quello che ci consente di capire e di risolvere anche gli altri due. L’affibbiaglio, come si vede,  ha delle sbarrette che non procedono nella stessa direzione: le une vanno verso l’alto e le altre verso il basso. Tra di esse ci sono le sfingi che sono tutte accovacciate e cioè si distendono. La lettura quindi ci permette di notare che l’oggetto possiede tre aspetti verbali che sono quelli precisi su cui si basa la formula acrofonia di cui ampiamente si è trattato nei saggi precedenti: l’andare verso l’alto , il distendersi, l’andare verso il basso. Sono essi che permettono di ottenere nascostamente la ossessiva formula canonica ‘apac atic’ . Comprendiamo quindi, per analogia, che il grosso spillone possiede,  oltre a questi, dei segni criptati che riguardano la coppia celeste Tin e Uni.   Bisogna individuarli e collegarli in sintassi con la parte ‘apac atic’ in modo da ottenere tutto il senso che l'oggetto intende trasmettere. Se teniamo conto della numerologia ci rendiamo conto che lo schema ci suggerisce di considerare che le due file di sfingi sono in numero di quattro ed opposte. Il ‘quattro’, lo si è detto tante volte (10), è segno numerico al posto della parola e significa ‘forza’ . Quindi avremo ‘doppia forza’, a cui aggiungeremo ‘opposta’ o ‘contrapposta’ essendo le due fila di quattro  le une di fronte alle altre.  Cominciamo a vedere meglio circa il rebus perché leggiamo ‘doppia forza e del padre e della madre’. Ma lo scriba aggiunge dell’altro perché le tre sbarrette possiedono ciascuna tre globetti che danno il numero sei.  Su questo sei ricorrente etrusco si è detto (11)  ma stavolta aggiungiamo (fig. 3) le figure, tratte dall’osservazione empirica degli antichi , degli astri sole e luna che ruotano  e che con le tre fasi doppie (una per ciascun astro) e opposte del sorgere (nascere, andare verso l’alto), crescere (distendersi), tramontare (andare verso il basso), creano la luce continua o immortale.             

Fig.3
     Aggiungiamo ora il significato eclatante dato dalle immagini delle sfingi e avremo:  Doppia forza misteriosa e del padre e della madre sole e luna (il tre + tre astronomico al posto del nome degli astri), ovvero Tin e Uni (il nome delle divinità al posto del nome degli astri).

    L’affibbiaglio della tomba di Cerveteri  contiene dunque,  sostanzialmente, la stessa formula (doppia forza, doppio sostegno del padre e della madre) presente nelle numerosissime casse e nelle urne etrusche e, così come in queste, assume valore apotropaico di scongiuro circa una possibile cattiva sorte che possa capitare al defunto. E’ un oggetto scaramantico che in virtù della sua scrittura gelosa e criptata, diventa magico e ha in sé la forza di annullare il possibile negativo con il ricorso alla potenza misteriosa,  luminosa ciclica e immortale del padre e della madre.  Questa  lettura e il significato dell'oggetto (e di altri ancora, naturalmente) illuminano un aspetto importantissimo della tomba delle Cinque sedie:  essa, con ogni probabilità è tutta congegnata per essere letta. Nascostamente (12)  letta, ma letta. Gli stessi affibbiagli delle statue (figg. 4 e 5) collocate nei cinque sedili sono indizio forte di ciò.

    
Figg. 4 e 5. Statuine custodite nel  British Museum di Londra  e nei  Musei Capitolini del vaticano.  

     Ma un altro aspetto informativo, assai importante, è dato dal fatto che i famosi bronzetti (v. due di essi in  figg. 6  e 7) sardi, trovati (13) nella tomba della necropoli di Cavalupo di Vulci, non costituiscono solo corredo decorativo e di prestigio ma dei veri e propri testi di scrittura in metagrafico. Scrittura diversa certo (14) ma contenente formule simili o identiche a quelle degli oggetti mortuari etruschi.       

 
           Fig. 6. Bronzetto nuragico apotropaico da Cavalupo (Vulci)                      Fig. 7. Altro bronzetto nuragico  dalla stessa tomba di Vulci (particol.)    
    
     Resta da dire infine su altri due aspetti della singolare fibbia, affatto trascurabili sul piano semantico perché anch’essi, con ogni probabilità, attinenti alla simbologia e alla ‘scrittura’ complessiva del testo dell’oggetto. Uno è quello che riguarda il ‘complesso sistema di chiusura’ e l’altro la composizione metallica del manufatto. La ‘complessità della chiusura’ è simbolo importante perché, come la spilla stessa, allusiva alla stabilità e alla fermezza (15);  e simbolo manifestamente forte ci sembra anche il fatto che il metallo sia composto da argento placato in oro. Si  sa quanto i due colori abbiano interessato magicamente  le civiltà antiche in riferimento alla lucentezza e  allo splendore della luna e del sole. Però l'oro  e l’argento dell’affibbiaglio  ribattutie e quasi fusi assieme danno ideograficamente non solo Sole e Luna, ovvero Tin e Uni, ma  anche l’idea della loro unità e inscindibilità  (v. ancora fig. 3) . Dietro l’uno c’è l’altra, dopo l’uno viene l’altra. In ragione di ciò ci sembra di poter dire che alla ‘doppia forza misteriosa’ va aggiunta anche, in rapporto ternario, la ‘fermezza’ e ‘l’unità’, caratteristici aspetti del comportamento della coppia astrale che dà la luce. Tutti qualità rassicuranti della divinità  e motivo di speranza per la persona defunta.
  L’affibbiaglio di Cerveteri dunque si presenta, con questa scrittura nascosta, difesa dalla difficoltà del rebus,  come un oggetto di significato ben diverso e molto più pregnante rispetto a quella fatta su basi descrittive, decorativistiche e comparative (16). Non è solo un mero  ‘segno’ di opulenza e di prestigio del defunto, non intende trasmettere un messaggio legato tanto alla sfera del sociale  quanto a quella religiosa circa l’ideologia della morte e della rinascita.

Ci piace concludere affermando che il vero splendore e la preziosità dell'oggetto non vanno ricercati nella bellezza apparente, nel suo presentarsi immediato come gioiello raffinato e originale, quanto nella sua bellezza nascosta, espressa con una certa scrittura fantasiosa e raffinatissima. Scrittura ‘con’ della quale potevano godere,  per la gioia dello spirito, solo pochissimi conoscitori di segrete convenzioni di scuola scribale. Come erano quelle nuragiche e, se si vuole, quelle antiche,  e non solo antiche,  degli egiziani, ancora attivi (17) in epoca etrusca, come sappiamo, con i loro misteriosi geroglifici e oggetti dicenti e parlanti con i quali scrivevano più che ‘decorare’ le tombe dei potenti.        
Note ed indicazioni bibliografiche

1. Abbiamo trattato l’argomento in libri e  in non pochi saggi, di ieri e di oggi, apparsi in giornali, in riviste (Quaderni Oristanesi e Monti Prama) e nei Blog di informazione e cultura della Sardegna curati dal giornalista Gianfranco Pintore, da Atropa e dal sign. Sandro Angei. Si vedano, per questi ultimi , tra gli altri, Sanna G.’,2012,  L'alfabeto nuragico. Aggiornamento (al 2011): poche le sorprese; in gianfrancopintore blogspot.com (12 febbraio); idem, 2013, Un santo nuragico e uno spillo sardo egizio per l’eternità; in Monte Prama Blog (28 aprile); idem, 2015, Complesso nuragico di Sedda ‘e sos Carros di Oliena: scudo bronzeo nuragico in miniatura (Lo Schiavo, Fadda). Sì, ma la scrittura? E il significato? ; in Maymoni Blog (22 giugno). 
2. V. ultimamente Sanna G, 2017,  Uno spettacolare ‘system’ etrusco di scrittura a rebus. Come invocare segretamente l’aiuto di Tin e di Uni? Del padre e della madre? Scrivendo con cipressi, bende, corna, portoni blindati, scudi di Amazzoni, cacce e cani, bipenni, cavalli, leoni e pantere, ecc. Persino con affettuosi (superdotati) cagnetti cortonesi (II); in maymoni blog (11 aprile); idem, 2017,  Scrittura etrusca: solleva, distende, curva: tre parole magiche per indicare, nascostamente e a rebus, Tin e Uni, il Sole e la Luna, il padre e la madre della luce della salvezza. I simboli astrali della chimera di Arezzo (III) in Maymoni blog  (15 maggio 2017). 
3. Strabone, V, 4,3; Sulla Campania etrusca si vedano Cristofani M., 1983, Gli Etruschi del mare, Longanesi &C Milano; Grant M., Le città e i metalli. Società e cultura degli Etruschi, Sansoni, 1983;  Locatelli D. - Rossi F., 2009. I dizionari delle civiltà (a cura di Ada Gabucci). Etruschi, Electa, Mondadori Milano; in part. Pellegrino Carmine, 2015, Gli Etruschi e gli altri nella Campania preromana.  In Atti del Convegno nazionale. L'Elba e i suoi beni culturali: anatomia di un patrimonio da proteggere, conservare e valorizzare, pp.  107-115.  Lalli Editore Siena.
4. I dizionari delle civiltà (a cura di Ada Gabucci). Etruschi, cit. , p.165.
5. Secondo alcuni le immagini sarebbero quelle degli ‘antenati’  dei defunti destinati ad essere sepolti nella camera centrale, rappresentati in atto di compiere libagioni durante il banchetto funebre.  Come si sa, al momento della scoperta, due di queste statue sono state rinvenute completamente distrutte senza possibilità alcuna di ricomposizione. Tre però erano intatte. Di esse due esemplari sono custoditi presso il British Museum di Londra e uno nel Palazzo dei conservatori dei Musei Capitolini di Roma. Secondo noi quelle statue (con gli stessi affibbiagli) facevano parte della ‘scrittura’ complessiva di tutta la tomba, già a partire da quell’indicativo  numero ‘cinque’ (la ‘potenza’) delle sedie accompagnato dal 'cinque' delle croci  in esse disegnate, dall' affibbiaglio a 'pettine' che ferma il mantello, dalla serie continua dei rombi disegnati sulla veste e sul mantello stesso. Per non dire del gesto della mano aperta, forse  'manifesta',  col palmo verso l'alto . Non è quindi solo L’affibbiaglio,  oggetto del nostro commento, l' indizio molto forte di detta generalizzata scrittura.
5. Secondo alcuni le immagini sarebbero quelle degli ‘antenati’  dei defunti destinati ad essere sepolti nella camera centrale, rappresentati in atto di compiere libagioni durante il banchetto funebre.  Come si sa, al momento della scoperta, due di queste statue sono state rinvenute completamente distrutte senza possibilità alcuna di ricomposizione. Tre però erano intatte. Di esse due esemplari sono custoditi presso il British Museum di Londra e uno nel Palazzo dei conservatori dei Musei Capitolini di Roma. Secondo noi quelle statue (con gli stessi affibbiagli) facevano parte della ‘scrittura’ complessiva di tutta la tomba, già a partire da quell’indicativo  numero ‘cinque’ (la ‘potenza’) delle sedie accompagnato dal 'cinque' delle croci  in esse disegnate, dall' affibbiaglio a 'pettine' che ferma il mantello, dalla serie continua dei rombi disegnati sulla veste e sul mantello stesso. Per non dire del gesto della mano aperta, forse  'manifesta',  col palmo verso l'alto . Non è quindi solo L’affibbiaglio,  oggetto del nostro commento, l' indizio molto forte di detta generalizzata scrittura.  
6. L’affibbiaglio naturalmente non è un unicum. Fa parte dell’abbigliamento della aristocrazia etrusca e sono stati rinvenuti nelle tombe altri manufatti simili a questo. Ma stavolta la ricchezza dell’ornamentazione e il soggetto particolare disegnato (le piccole sfingi accovacciate) sono eccezionali e non trovano confronti possibili.
7. V. bibliografia nota 2
8. Per altro di questa non parlano minimamente il Locatelli e la Rossi. Neppure quando registrano la presenza delle numerose sfingi, un dettaglio, data la sua immediatezza di senso,  non certo trascurabile quanto a simbologia.
9. V. ancora la bibliografia alla nota 2. Nei due saggi si sono portati esempi della formula tratti, in genere, da sculture di urne e sarcofaghi e da pitture parietali tombali. Per la scrittura con gli oggetti si vedano gli esempi del cagnetto  cortonese e della chimera di Arezzo. 
10. V. Sanna G.  2010, I nuragici. Estrosi anche e soprattutto con i numeri; in gianfrancopintore blog spot. com (27 maggio); idem, 2016, Scrittura nuragica. I numeri dall’uno sino al dodici. Il loro valore simbolico convenzionale nei documenti della religiosità. L’iterazione logografica sulla base di quel valore (2 luglio); idem, I geroglifici dei Giganti. Introduzione allo studio della scrittura nuragica, PTM ed. Mogoro,V,  pp. 113 -131.
11. Sanna G., 2014, Giochiamo a dadi e impariamo l’etrusco.I 'dadi enigmatici' (kύboi loξoί) di TIN e di UNI. Il gioco combinatorio circolare delle 'parole-immagine a contrasto' e dei 'numeri alfabetici' dei dadi di Vulci; in Monte Prama blog ( 8 novembre); idem, 2015, Cerveteri. L'iscrizione (IV secolo a.C.) del cosiddetto Pilastro dei Claudii. LARIS AVLE LARISAL figlio di TIN/UNI. Il linguaggio dei numeri nuragico ed etrusco. I documenti di Crocores di Bidonì e di Nabrones di Allai (III); in Monte Prama blog  (11 gennaio); idem, 2016, Tarquinia. L’ancora della salvezza e il sostegno della luce di TIN /SOLE e di UNI /LUNA. Il greco - cipriota? Non c’entra nulla. Semmai il semitico nuragico di Barisardo; in Maymoni blog (15 dicembre).
12. Riteniamo che si possa affermare che le tombe etrusche somigliano, sotto questo aspetto, alle tombe egiziane. Si sa che le tombe dei faraoni e dei potenti sacerdoti egiziani non erano fatte per essere visitate da alcuno. Pittura, scultura, organizzazione dello spazio e degli oggetti in un certo modo, era scrittura sacra che costituiva godimento estetico del  solo defunto e della divinità. Per questo motivo le tombe venivano nascoste, anche con sofisticati  depistaggi: una volta morto e sepolto  il titolare della tomba si procedeva a sigillare il tutto. Noi non ci pensiamo troppo e tanto meno lo diciamo, ma uno scavo moderno tombale, un mettere alla luce i ‘geroglifici’, si capisce bene che è sempre e comunque atto di ‘profanazione’. Noi oggi guardiamo e leggiamo di prepotenza, in nome della scienza, quello che doveva stare sepolto e nascosto, per 'volontà altrui', per sempre. Quando si osserva lo scempio arrogante del coltello e del martello (passato quasi  per accorgimento scientifico!) che ha subito la salma di Tutankhamon, del tutto restia a farsi separare dal sarcofago, ci rendiamo conto che, per quanto laici si possa essere e per quanto la si voglia girare e rigirare circa la liceità dell'operazione,  c’è stata veramente una indecente ‘profanazione’,  il nessun rispetto per il sacro ed per il severo pensiero religioso antico. 
13. Bartoccini R., 1958, ‘Vulci’. Atti dell’VIII  Congresso internazionale di archeologia classica, p. 26 seg. tav. XVII;  Lilliu G., 2008 (riedizione vol. del 1966 con saggio introduttivo di A. Moravetti), Sculture della Sardegna nuragica, Ilisso, Nuoro, pp. 284 -287; p. 566.  
14. Sanna G., 2016, I geroglifici dei Giganti. Introduzione ecc. cit; in part. 10, pp. 205 -232.
15. Sulla ‘stabilità’ e la ‘fermezza’ per la rinascita,  espresse ‘metagraficamente’ con scrittura a rebus  in uno spillone nuragico in bronzo (rinvenuto in una tomba nei pressi del tempio di Antas di Fluminimaggiore) , si veda Sanna G., 2013,  Un santo nuragico e uno spillo sardo - egizio per l'eternità; in Monte Prama blog (28 aprile).
16. E’ il modo dimidiato, ‘classico’, di leggere, acriticamente e ‘modernamente’, tanta della produzione materiale delle civiltà del passato; non tenendo conto dell’antico ma sempre presente ‘modello’ del metagrafico egiziano che fu copiato, sia pur in forme sempre diverse, da non pochi popoli del Mediterraneo (sirii,  cretesi, greci pitici e attici, sardi ed etruschi).  Sui pregiudizi e le resistenze di sempre a leggere foneticamente certi codici di scrittura antichi,  v. di recente Sanna G., 2017, SCRITTURA METAGRAFICA DEI SARCOFAGHI ETRUSCHI. LE VARIANTI IDEOGRAMMATICHE. FANTASIA E ORGANICITA'; in maymoni blogspot.com (8 febbraio). 
17. Roccati A., 2000, La scrittura dell’Egiziano; in Atlante della Comunicazione dell’uomo. Alfabeti. Storia e preistoria del linguaggio scritto. Dai geroglifici agli ideogrammi. I segni per comunicare, Demetra, Varese  pp. 59 - 82. 

7 commenti:

  1. Sai cosa? dovremmo o dovrei riprendere anche il tema degli scarabei egizi trovati in Etruria con scrittura crittografica amunica: nella tomba di una ragazza quindicenne a Vulci ne hanno trovato ben due, una tomba dell'VIII sec. a.C. Anche se si attribuisce ai Greci l'influenza egittizzante in Etruria, non è convincente per questo caso (e altri casi): è un pò come lo scarabeo egizio di Monte Prama attribuito ai fenici che a Monte Prama invece non esistono. Questi scarabei rimangono quindi così, penzolanti; ma stiamo parlando di Vulci, dove c'è anche-come ricordi qui-la tomba dei bronzetti Sardi. Per me l'uso, disinvolto, della crittografia amunica non è casuale-in Sardegna è addirittura massiccio. Certo è che in epoca più tarda -come la tomba di cui discuti qui- il piacere etrusco per un gusto artistico molto diverso da quello nuragico è evidente, ma lo è anche la permanenza di questa particolare forma per scrivere che stai mettendo in luce. Con molto studio ma mi pare anche con molto divertimento!
    Per me è indubbio che questa che chiami scrittura metagrafica sia un import-poi rielaborato-dal modo egizio di concepire la scrittura sacra. Secondo te gli Etruschi lo hanno imparato dai Sardi; in questi frangenti penso a tutti gli scarabei egizi crittografici al museo di Cagliari illustrati dalla Scandone nel 1975 (molti di produzione secondo lei locale) e porca miseria, tutti di ignota provenienza.
    Che nervoso.

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  2. Sì, bisognerebbe. Il nuragico e l'etrusco hanno, secondo me, tante cose da dire sulla crittografia. Ma non solo essi. Sempre di più mi vado convincendo che i Sirii (i Cananaei)'devono' anch'essi essere, in qualche modo, debitori di questa forma di scrittura che, proprio perché molto nascosta e fantasiosa, era la prediletta. Ma ci vorrebbe qualcuno che studiasse l'aspetto sirio del fenomeno. Una singolare statuina di Astarte con elementi a schema MF mi avevano indotto a sospettare che tutto l'oggetto fosse scritto (in semitico). Ma la mancanza di confronti mi ha indotto a lasciar perdere. Anche un torello molto magro e strano nella sua composizione ( credo che si trovi nel museo di Gerusalemme) mi ha fatto pensare a certi strani torellini (bronzetti) sardi scritti. Mah! E'' una ricerca che facciamo quasi in assoluta solitudine. E le forze sono quelle che sono!
    Divertirmi? Certo. Ma non sempre. Quante notti insonni con alveari in testa! Ma i ricercatori, tutti i ricercatori, conoscono bene il ronzio che non ti dà pace.

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  3. Il ronzio si sente a radio accesa; a radio spenta nessun segnale!

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  4. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

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  5. Scusate se non è proprio pertinente.

    Ma com'è che di una bomba come la barchetta di Tetti, datata tramite termoluminescenza al IX-VIII secolo a.c, non ne parla nessuno studioso?

    Quello mi sembra l'esempio di scrittura Nuragica più convincente.§

    Tra l'altro ho scoperto da poco che nel Portogallo meridionale è stata ritrovata una stele con caratteri Semitici ma Pre Fenici, se ne parla qua : https://books.google.it/books?id=tN-kBQAAQBAJ&pg=PT339&lpg=PT339&dq=nuragic+kommos&source=bl&ots=gTJcRkbwmo&sig=Pqkxu2SdB9Ug5rkFaQaXs_PRnwI&hl=it&sa=X&ved=0ahUKEwjiucKs_pTUAhVPJFAKHRqHAAQQ6AEIQTAC#v=onepage&q=nuragic%20kommos&f=false

    Non me en intendo ma sembrano simili a quelli della stele di Teti, voi che ne pensate?

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  6. Scrittura Etrusca come quella Nuragica?

    Ma esistono documenti in scrittura Nuragica?

    I documenti in scrittura "indigena" autentici si contano sulla punta delle dita, qualcosina da Teti sembra in effetti una forma di scrittura originale nativa, lo spillone di Antas magari potrebbe essere un cipro minoico alterato dai Sardi, ma oltre a questi cosa c'è?

    Qualche segno in alcune brocchette e stop.

    Quindi si, i Nuragici scrissero, ma adottarono tutti lo stesso sistema di scrittura?

    Non sembra, i documenti di teti e di antas sono diversi, quelli di Teti sembrano una specie di alfabeto mentre quello di Antas è un sillabario, questi sono gli unici oggetti indigeni che recano forme di scrittura.

    Le tavolette di Tzricotu sono bizantine, e so che questo non lo manderete mai giù visto che Sanna ha basato tutto il suo lavoro su dei reperti che non c'entrano nulla con la scrittura antica.

    Quindi direi che la scrittura Nuragica si riduce a un paio di documenti, mi sembra troppo presto per trarre conclusioni e fare raffronti con altri, meglio documentati sistemi di scrittura.

    Tanto lo so che verrò lapidato, però mi piacerebbe vedere una rassegna dei documenti indigeni della Sardegna autentici, non reperti trovati fuori contesto ed inautenticabili, lettura di baffi di figurine o roba simile.

    La tesi di Ugas non mi convince dato che il reperto autentico ritrovato a Teti precede l'alfabeto Euboico e non mi sembra affatto simile a quest'ultimo.

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    1. In questo blog non si lapida nessuno. Le dirò di più, non cercheremo né di controbattere le sue osservazioni ma neanche di convincerla sulla esistenza della scrittura nuragica, visto che è rimasto alle linguelle medioevali.
      Le posso dire solo una cosa: sa cosa mi ha spinto a studiare e sposare la tesi del Prof. Sanna? La curiosità di una mente libera da pregiudizi; la stessa curiosità che mi ha spinto comunque a mettere alla prova la interpretazione epigrafica data dal Professore di un certo monumento; cercando e trovando, alla fine, riscontri dal punto di vista archeoastronomico.
      Le due discipline si sostengono e rafforzano vicendevolmente, lì dove le tesi sono valide, tendendo conto che l'astronomia possiamo considerarla una scienza esatta.
      Per tanto la invito ad essere curioso; dopo, a ragion veduta, sarà possibile riparlarne.

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