lunedì 31 ottobre 2016

Scrittura metagrafica e scrittura epigrafica nella Sardegna nuragica. La ‘fiasca del pellegrino’.

di Gigi Sanna



   Fig.1 Fiasca del pellegrino di Ruinas (Oliena)                 













       
                                                           fig.2. Lettere in evidenza



Sulla ‘fiasca del pellegrino’ trovata in Sardegna esiste ormai una cospicua letteratura (1). I non pochi  rinvenimenti hanno permesso agli archeologi di studiarla più o meno approfonditamente e anche di dire che essa, per quanto possa avere influssi esterni come ‘genere’ di manufatto, è ascrivibile interamente alla cultura nuragica. Soprattutto i cosiddetti ‘pendagli’, le fiaschette in miniatura non sembrano possano essere soggetti a dubbi di sorta circa la loro identità. Poco o nulla invece si è detto di criticamente scientifico sulla ‘scrittura’ di esse e, se si esclude, il pronunciamento pressocché unanime quanto 'superficiale circa le presunte lettere latine (fig.2) della fiaschetta di Ruinas di Oliena (2), non c’è nessuno che interpretando compiutamente la simbologia, più o meno  scoperta, di alcuni dei manufatti, miniaturistici e non, abbia spiegato il motivo dei segni, chiaramente ‘topici’,  ricorrenti nella formazione dell’oggetto. 
Non è nostra intenzione parlare qui delle varie fiaschette dal punto di vista prettamente archeologico. Per questo c’è (e per certi versi avanza) la letteratura di cui si è detto. Nostra intenzione è invece, in coerenza con quanto si va dicendo da tempo (3) sia  sulle tipologie sia  sulle forme della scrittura presenti in Sardegna, portare l’attenzione sui significati. Non sulla base di una simbologia astratta, solo 'pensata',  destinata, attraverso  elucubrazioni, più o meno fantasiose, a lasciare le cose come stanno e -come si dice -  a non portare da nessuna parte, ma sulla base di una simbologia ‘concreta’; concreta  come quella che vede  il pronunciamento di senso  solo dopo la rigorosa identificazione dei segni o delle lettere della fonetica e quindi della lingua  che accompagna sempre i prodotti di natura religiosa. Non esistenti questi e/o senza vita se non accompagnati ad essa.  
   Per comodità di esposizione partiamo da un passo dell’articolo pubblicato da Atropa Belladonna un paio di anni fa (4);   
Della fiasca trovata al villaggio nuragico di Ruinas (Oliena) recante lettere incise …, abbiamo già parlato diffusamente ….
Qui cito le parole di Guirguis, che in tutta onestà scrive …:
"Tra le fiasche del pellegrino con quattro bugne di provenienza sarda [..]i due problematici rinvenimenti del Nuorese, da Oliena (villaggio nuragico in loc. Ruinas) e da una collezione privata dalla stessa regione."
Quest'ultimo io non lo conosco. Non è mai stata fatta un'analisi paleografica ed epigrafica delle lettere incise. Il reperto, che secondo Bartoloni è "un esemplare di imitazione, in ambiente nuragico" … viene considerato come "Il solo oggetto che ricolleghi il territorio di Oliena al mondo fenicio-punico" …, ma le lettere sono state ascritte ad ambito latino del III sec. a.C. e unica prova della presenza romana nel luogo in questione …, mentre la produzione dell' oggetto si fa risalire all' VIII-IX sec. a.C. ….  
Secondo Ugas (che però non fa riferimento specificamente a questa fiasca)  il segno a serpentello, il segno a I ed il segno ad Y, rappresentano i grafemi S, I e U nel sistema di scrittura derivato dall' alfabeto greco di tipo euboico ed impiegato dai Nuragici ….
Vista l' unicità del reperto e l' assenza di altre prove archeologiche fenicio-puniche o romane nel villaggio nuragico di Ruinas (Oliena), sia la produzione della fiasca che le lettere incise (non escluderei che fossero state incise a caldo) appaiono facilmente ascrivibili ad ambito sardo …. (La serie dei puntini è nostra e riguarda rimandi bibliografici o note a pià di pagina)
  
   Atropa Belladonna dunque tocca i tasti giusti  circa la sardità (nuragicità) totale della fiasca, appellandosi  alla ‘unicità’ del reperto di Oliena, all’assenza di prove di influssi  ‘fenicio -punici nel territorio ed infine alla scrittura (ai segni della scrittura graffiti in una delle superfici della fiaschetta) che però non sarebbe romana ma nuragica. Sul perché della scrittura nuragica del manufatto, non romana (e senza il condizionale), cerchiamo di dare qui il nostro iniziale contributo critico. Quello che porterà anche a scoprire altra scrittura presente non solo nella fiasca di Ruinas ma in tutte le fiasche e fiaschette di forma identica o simile.    
   Per questo fine, così  come abbiamo fatto per i documenti di Santu Antine e di Monte Olladiri (5), procediamo con il  passare in rassegna, uno per uno, i detti segni sia per cercare di individuare con precisione  la loro tipologia sia per ottenere, attraverso la ‘certezza’ dei valori fonetici, un senso linguistico. Un senso che alla fine ci possa illuminare, possibilmente, anche sul significato dello stesso supporto.
    I segni presenti su di uno dei dorsi della fiaschetta sono in tutto quattro. Uno ‘enfatizzato’ (6),  posto al di sopra e tre, in perfetta linearità, al di sotto. Di essi due sono identici, a barretta verticale (il primo e il terzo), due diversi. Su base pigramente repertoriale (7) sono stati giudicati rispettivamente una vocale (‘i’), un’altra vocale (‘ypsilon’), una seconda vocale  ‘i’ ed infine  una consonante ‘ sigma’. Così la pensa anche l’ Ugas rimandando, ancora una volta, ai segni all’alfabeto greco. Forti di questa sbrigativa, approssimativa, ma fideistica interpretazione, la sequenza ottenuta, quasi ‘legittimata’ per il parere dei più,  è I/SIY oppure I/YIS se si legge da destra verso sinistra. Cosa significa? Nulla che si sappia, dal punto di vista linguistico. Sarà lingua nuragica? Boh! Lo si lascia ‘volentieri’ ai glottologi indoeuropeisti e non! O forse sarà una semplice ‘sigla’ romana, sconosciuta? Si può dire. Tanto quando si parla di ‘sigle’ (8) si sta comodi, incensurabili e irreprensibili: non si deve rendere conto di nulla  a nessuno. Le sigle sono sigle e basta. Caspita, quanto sembra difficile ammettere il fiasco del tentativo ermeneutico con un semplice,  simpatico,   modesto perchè onesto  ‘non ci capisco nulla!’
  Vediamo ora, forti della semplice, scontata considerazione che nella storia della scrittura i segni si trovano spesso eguali per forma (omografi) ma diversi per suono (non omofoni), di procedere diversamente per metodo e di analizzarli su base scientifica documentaria ( e non solo comparativa) onde cercare di capire la tipologia e il suono di essi. Per vedere se così riusciamo ad ottenere non solo una retta sequenza sul piano epigrafico e paleografico  ma anche un qualche significato.
Sulla presunta vocale ‘I’, il segno ‘enfatizzato e separato dagli altri, abbiamo detto, anche da poco (9),  e crediamo che non sia il caso di insistere data la sua notevolissima attestazione, in diacronia, nella documentazione nuragica: da Tzricotu di Cabras alla pietra dell’Antiquarium arborense di Oristano. Quindi, nella fiaschetta  di Oliena, per schiacciante prova da documentazione nuragica,  non si hanno delle ‘i’ ma si hanno   solo  delle ‘yod’: due sicure consonanti e non due vocali.
  Passiamo ora alla presunta vocale  ‘ypsilon’ e alla, sempre presunta, consonante ‘sigma’ finale. E' evidente che anche il primo segno, se guardato con sufficienza e senza sapere, può apparire greco o latino, sennonché da tempo abbiamo segnalato l’esistenza del segno a ‘V’ come grafema nuragico (10), attestato più volte nelle scritte sarde  (v. figg. 3 - 4 - 5 - 6) ma anche  nella documentazione esterna (fig.7), forse siriana o palestinese, grazie ad un ritrovamento finito però, purtroppo, nel mercato clandestino e quindi in un’asta pubblica (11).
                          





Fig. 3  (Bipenne di Sarcu 'e is Forros)           Fig.4 (Scritta chiesa di San Nicola di Trullas) 


Fig.5. Pietra di Villamassargia.                          Fig.6. Dattiloscritto di Pietro Lutzu.




Fig. 7. Punta di freccia di provenienza siro -palestinese (?)                                                                                          
   
   Quanto al secondo, è quello (noto) che ha giocato davvero un brutto tiro, con fraintendimenti clamorosi, agli epigrafisti frettolosi, sbadati  e soprattutto carichi di vecchi pregiudizi circa la non esistenza della scrittura nuragica (12). La lettera ad ‘esse’ con andamento sinistrorso è stato attribuita (perché riportata, per errore, specularmente quindi con andamento destrorso) all'’alfabeto romano. Ma anche se il ‘gramma’ fosse stato destrorso, ciò non avrebbe dovuto significare granchè per un epigrafista scrupoloso, attento alla ‘storia’ dei segni’ alfabetici consonantici. Infatti, il segno è quello comune a ‘serpentello’, ancora chiaramente pittografico, secondo l’origine e il modello del segno del codice semitico  ‘protosinaitico’. Serve, come tutti sanno,  a notare acrofonicamente (da nchs נחש,) sempre la ‘nun’. Nella scrittura nuragica il grafema è riportato in maniera quanto mai varia: semplice, con due spire,con tre spire, con la testa, senza la testa, orientato a destra o a sinistra, diritto, obliquo, in legatura o in nesso. Una tabella sintetica  accompagnata da alcuni documenti (v. figg. 8 - 9 - 10 - 11 -12 -13 -14 -15 - 16 -17) contenenti tutti, anche più volte, la consonante nasale pittografica,  può dare meglio l’idea della sua cospicua presenza e, nel contempo, della notevole varietà formale (13)     














                                                                                     Fig.8. Barchetta Antiquarium arborense






        


Fig. 9. Pietra di Aidomaggiore con lettera 'nun'                             Fig.10. Scritta di San Giovanni (Tharros)


Fig. 11. Scritta di Tharros (Antiquarum arb.)                                                        Scritta evidenziata

  


Fig. 12 . Tavv. A3 e A5  di Tzricotu di Cabras      Fig. 13. Pietra Nuraghe Pitzinnu di Abbasanta       Fig. 14. Anello di Pallosu di San Vero Milis

  


15, Pietra di Barisardo+ trascr. e valori fonetici dei segni                                          Fig. 16. Pietra di Terralba

Fig. 17. Scritta della Sala da ballo di S.Giovanni (Tharros) + trascrizione (completa)
   Dopo questa lunga, ma necessaria, esemplificativa esposizione documentaria crediamo che non vi siano dubbi che al nuragico certo della fiaschetta corrisponda, sin dall’inizio, ovvero dal IX - VIII secolo a.C. (14), il nuragico certo della scritta. Pertanto ha avuto  gioco agevole Atropa Belladonna per poter dire: Vista l' unicità del reperto e l' assenza di altre prove archeologiche fenicio-puniche o romane nel villaggio nuragico di Ruinas (Oliena), sia la produzione della fiasca che le lettere incise (non escluderei che fossero state incise a caldo) appaiono facilmente  [grassetto e sottolineatura sono nostri] ascrivibili ad ambito sardo. 
   Già, 'facilmente'. Dunque, anche in questo caso e  ancora una volta non c’entrano i codici (15) o le lingue (sigle) classiche e tanto meno c’entra il ‘fenicio - punico’ (espressione questa davvero ‘magica’, salvifica,  usata  da taluni in tutte le salse per dire nulla). C’entra invece, in tutta evidenza, il codice con lettere pittografiche arcaiche di ispirazione protocananaica e le lettere omografe ma non omofone della scrittura degli scribi nuragici.
    Ora, l’aver sgombrato il campo e l’aver sconfessato definitivamente coloro che hanno parlato di presenza di presunte lettere ‘romane’ risulta tanto più importante perché dal punto di vista storico, com’è noto, gli irriducibili studiosi  ‘romanisti’, spesso inclini  ad assecondare acriticamente ‘miti’ al contrario (16),  si sono affrettati quasi  a gridare a tutti i venti che la romanizzazione aveva toccato profondamente anche zone interne della Sardegna (17). Con l’intento evidente di stigmatizzare così, grazie ad un bel colpo ‘secco’, perché ritenuto di valenza scientifica, l'evidente costruzione mitopoietica dei ‘lilliani’  dei ‘sardisti’ e degli indipendentisti (18), i fanatici di una fasulla ‘costante resistenziale’. Crediamo che sia inutile il sottolineare che questi sono purtroppo - dettando la danza l’auctoritas senza controllo critico e imperando la faciloneria - i magnifici risultati a cui può portare un uso allegro e superficiale dell’epigrafia. Risultati di nessuna attendibilità perché supportati da  mitopoiesi,  stavolta  sì reale,  perché  esito di speculazione e perché ciò che si afferma lo si afferma senza alcuna base scientifica .
    Ma vediamo di ricapitolare. Nella fiaschetta di Ruinas di Oliena :
- non si hanno scritte romane né greche.  
- il codice di scrittura, pittografico e lineare assieme,  è quello ampiamente attestato in periodo nuragico per oltre un millennio.
- non si riscontrano vocali ma tutte consonanti. Secondo la norma,  perché il codice, in quanto interpreta e traduce  una lingua semitica,  è sempre  di natura consonantica.
   Ergo, cambieremo un presunto, quasi tutto vocalico,  I/U I S (al solito senza significato alcun e  da lasciare ‘volentieri’ ai gottologi!) nel giusto, tutto consonantico, YY (yod/ ‘ayin, yod, nun);  sequenza questa che mostra senso (e ottimo senso, si direbbe) se solo, ancora secondo la norma, si leggerà dall’alto verso il basso (la ‘yod’ posta isolata e con enfasi all’inizio) e , sempre secondo norma (19) da  sinistra verso destra le altre lettere : Y(hwh) ‘ayin (occhio di Yhwh).
    Ma cosa c’entra in una ‘fiasca del pellegrino’ nuragica l’occhio di yhwh? Che senso dare? Che significato può avere quel dato epigrafico, così nascosto, nel manufatto? Esiste solo quella di scrittura (microscrittura)  o ne abbiamo dell’altra (molto) più ‘manifesta’? La stessa fiaschetta può essere scrittura? Scrittura assai consolidata? Secondo precise convenzioni scribali?
(continua) 
                  Note ed indicazioni bibliografiche.
  1. V. L’ampia bibliografia in Atropa Belladonna, 2013, La ‘fiasca del pellegrino’ per i nuragici; in Monte Prama Blog.it (3 giugno).
  2. Atropa Belladonna, 2013, Fiasca del pellegrino con lettere: davvero sono latine? in Monte Prama Blog.it (23 aprile); eadem, 2013, La fiasca del pellegrino del villaggio nuragico di Ruinas (Oliena), in Monte Prama Blog.it (25 apprile): eadem, 3013, Fiasca di Ruinas: il mistero si infittisce (26 aprile).
  3. Sanna G. 2004, ’g  ’ab sa‘an yhwh. Il dio unico del popolo nuragico, S’alvure Oristano.
  4. Atropa Belladonna, 2013, La ‘fiasca del pellegrino’, ecc. cit.
  5. Sanna G, 2016, Da Santu Antine e da Monte Olladiri. Litterae infelices, lectio nulla. Ma, in fondo, fa poco o niente: sempre scrittura è. Nuragica;  in maimoni blogspot.com ( 21 ottobre).

6.      Si deve sempre stare attenti circa la disposizione dei significanti nella scrittura nuragica. Spesso sono indizio di ulteriore significato. Nulla impediva allo scriba che ha inciso le lettere sulla fiaschetta di porre in ‘lectio continua’ anche la ‘yod’ iniziale. Lo ha fatto semplicemente  perché quel segno è più importante di tutti gli altri in quanto è segno della divinità;  ma lo ha fatto anche perché, isolando così la lettera, ha agito sul piano numerologico componendo una scritta con l’uno,  con il tre e con il quattro. L’uno ad asta verticale è evidente simbolo fallico della divinità e sta anche per ‘toro’, il tre è sempre simbolo della divinità e significa ‘Dio, lui, perfezione’, il quattro tende a notare sempre logograficamente la ‘forza’ (Sanna G., 2016,  Scrittura nuragica. I numeri dall’uno sino al dodici. Il loro valore simbolico convenzionale nei documenti della religiosità. L’iterazione logografica sulla base di quel valore; in maimoni blogspot.com (2 Luglio). Quindi per numerologia si potrebbe leggere in partenza già  ‘Lui forza del toro’. Non sembri azzardato quanto diciamo e senza fondamento. I nuragici, stando le convenzioni scribali di scuola, stavano bene attenti a tutte le implicanze che comportava, sul piano della sacralità,  il riportare dei segni sempre e comunque  ‘geroglifici’. C’è sempre una logica cogente ed una congruenza senza la quale si rischia di profanare il divino e di rendere la scrittura sbagliata e pertanto ‘insignificante’.

7.       Ugas G, 2013, I segni numerali e di scrittura in Sardegna  tra l’età del bronzo ed il I Ferro, in Tharros Felix, a cura di A. Mastino, P.G.Spanu, R.Zucca, Roma Carocci, pp. 295 - 377.

8.      E’ questo un errore che fanno in molti. Ci sono quelli che vedono sigle recenti dappertutto e scambiano magari un antichissimo RF (‘guarisci!), una chiara scritta in mix (caratteri romani e lingua semitica),  magari per un R(oberto) F(enu) con le lettere latine dell’alfabeto odierno. I paleoepigrafisti sanno di questo pericolo e, per esempio, come nel caso delle scritte della chiesetta di San Salvatore di San Giovanni di Cabras, avvertono circa la giusta lettura dei vari RF nei muri delle celle dei santuari.

 

9.      Sanna G., 2013, Da Santu Antine e da Monte Olladiri. Litterae infelices, ecc.o.c.  

10.    La nostra segnalazione sull’esistenza del segno a ‘V’  con valore della consonante aspirata  ‘ayin è già del 2004: Sardȏa Grammata, 11, 3, p. 422.

11.    Stella del mattino e della sera, 2010, Iscrizioni arcaiche vendensi; in gianfrancopintore blogspot.com (25 giugno) ;  Sanna G., 2010, Una freccia quasi ŠaRDaN? O addirittura ŠaRDaN?, in Gianfrancopintore blogspot.com (30 giugno)

12.    Si consideri quello enorme di fraintendimento dello studioso oristanese R. Zucca;  ancora una volta lo stesso preciso grosso abbaglio: il romano scritto  al posto del nuragico! Davvero un’ assurda lettura con un inesistente nome romano, Sextus Nipius, al posto dell’espressione (ripetuta, peraltro, nella barchetta!)  ‘Lui luce immortale’! V. Sanna G., 2010,  Serpentelli di tutti i nuraghi unitevi; in gianfrancopintore blogspot.com (16 gennaio).

13.     La lettera ‘nun’, sempre diversa come realizzazione, soprattutto se pittografica, è attestata oltre 60 volte su un totale di 300 e più documenti. Va però precisato che talvolta il pittogramma ‘serpente’ non assume  valore consonantico ma quello ideografico di immortalità  עולם. In certi casi il ‘segno’ è pregnante (polisemico)  e bisogna contare le sue spire (tre, sette, dodici) per ricavare altro senso ancora: lui immortale, santo immortale, luce immortale.  Il segno è così 'potente' che ci vorrebbe un bel saggio, ben articolato, sull’uso e sull’evoluzione storica dell’antichissimo pittogramma acrofonico  protosinaitico in Sardegna. Anche perché io non so se nella Siria - Palestina,  luogo d’origine del codice arcaico sardo,  ci sia l’attestazione di un uso così diffuso del ‘serpente’ sia di natura prettamente acrofonica consonantica sia di natura ideografica, notante la ‘eternità, la continuità, la ciclicità solare’ (ma forse anche il ‘padre’ secondo il mito del Serpente, origine dell’umanità, degli Egiziani).  

14.    Naturalmente, come sottolinea Atropa Belladonna, la possibilità di una datazione sicura  è solo nella volontà di coloro che custodiscono il reperto o di coloro che, in Sardegna o fuori dell’Isola, presiedono alla retta comprensione dei dati archeologici. Si proceda dunque con gli esami scientifici, così come si è proceduto (con esiti ancora parziali ma comunque encomiabili)  per la barchetta fittile di S’Urbale di Teti, e si saprà non solo la data  della fabbricazione della fiaschetta ma anche il dato se la scritta sia o non sia  ‘ante coctionem’.

15.    Alludiamo alla inconsistenza e alla non attendibilità circa l’ esistenza della scrittura greca euboica nei reperti fittili di Nuraxinieddu, di Santu Antine e di Monte Olladiri, sostenuta, senza alcuna prova scientifica,  dall’Ugas, Ma il discorso, come vedremo pian piano e con pazienza, riguarderà la maggior parte dei documenti pubblicati dallo studioso. Anche quelli, fraintesi sino all'assurdo, recanti  inesistenti ‘segni ponderali’.  

16.    L’accusa di mitopoiesi circa la storia della Sardegna  in periodo nuragico (e non solo) sa  davvero ddell’ incredibile!  Si vuole sempre insinuare che quanto si trova e si propone  di ‘straordinariamente interessante’, di bello’ e di ‘esaltante’ circa la civiltà nuragica obbedisca sempre a fini, più o meno dichiaratamente politici, di stampo nazionalistico. Addirittura razzistici! Si annullano i puri dati scientifici (scientifici semplicemente perché ‘oggettivi’) per il ‘timore’ di dar luogo a esaltazioni di ‘razza’ e di aumentare a dismisura lo spirito autonomistico (sic in verbis una nota funzionaria dell'Istituto Italiano di Storia e Protostoria!) delle popolazioni dell’Isola.  La storia dei Giganti di Monte Prama è una storia paradigmatica circa questo ‘timore, che porta, talora inconsapevolmente, non pochi studiosi ad attutire, in qualche modo, l’impatto del dato archeologico con la coscienza storica dei Sardi. Ergo non bisogna dire ‘Giganti’ ma statue e, soprattutto si deve incrinare il dato della sardità delle statue a tutto tondo. Esse, si afferma,  sono formalmente sarde ma di concezione ‘levantina’ (una stupidaggine bella e buona!). Per la scrittura ‘nuragica’ è capitata e capita ancora la stessa precisa cosa. Bisogna negarla con forza e se proprio non si può, pena il ridicolo, bisogna dire che i segni non sono 'proprio' sardi (sardôa grammata) ma solo… ‘grammata' nell’Isola di Sardegna’

17.    G. Maisola, Alcune osservazioni sulla romanizzazione della media valle del Cedrino, in  L'Africa Romana. Trasformazioni dei paesaggi del potere nell'Africa settentrionale fino alla fine del mondo antico. Atti del XIX convegno di studio (a cura di) M. B. Cocco, A. Gavini, A. Ibba. Volume terzo. Roma 2012, pp. 2761 - 2777  

18.    Naturalmente è, in genere, un  indecoroso pasticciare ‘ideologico’, un fare antropologia politica per i creduloni. Non ci si accorge neppure che l’Atropa Belladonna, parmense, studia e se ne frega delle ideologie (e delle beghe sarde); agisce ‘neutralmente’ da scienziata; usando per l’archeologia e per l’epigrafia la stessa rigorosa metodologia scientifica che le è indispensabile per  le discipline  matematico – scientifiche che insegna ormai da decenni. E se deve dire che qualcosa non ha basi scientifiche, che risulta  pura elucubrazione, speculazione, 'aria fritta' o  tace con ‘rumore’ oppure lo dice: piaccia o non piaccia a chi comanda in quest’aiola che ci fa tanto feroci. Piaccia o non piaccia, soprattutto,  a coloro che, da tantissimo tempo,  della scienza archeologica sarda hanno fatto e fanno ancora privatissima feudale riserva di caccia.

19. Si ricordi che il nuragico non ha, nel corso della sua storia millenaria,  un vincolo di  lettura ovvero una lettura standard quanto a direzione: procede, sempre per motivi di cripticità (religiosa) e nascondimento dei significati,  in modo vario: dall'alto verso il basso, da sinistra verso destra e da destra verso sinistra. Spetta sempre a chi legge e cerca di dipanare la matassa del rebus cercare di capire da dove procedere.  

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